“Inspiration is a little town in China”, così recita un noto detto inglese che spiega come sia complesso definire il concetto di ispirazione, un luogo sconosciuto impossibile da rintracciare, come fosse una piccola città nello sterminato territorio cinese.
Tobias Rehberger possiede tutte le peculiarità per narrare quel mistero che rappresenta l’ispirazione. Nato a Esslingen in Germania nel 1966, compie i suoi studi a Francoforte dove tutt’ora vive e lavora. La sua produzione artistica comprende molteplici declinazioni creative: dalla scultura alle installazioni passando per il design industriale e le notevoli influenze in campo architettonico. Definire un artista come Rehberger è un’impresa complessa, eppure egli stesso si descrive semplicemente come uno scultore, laddove il sentimento plastico delle sue opere si rivela in ogni forma estetica di rappresentazione.
Wrap it up, progetto espositivo che suggella per il terzo anno consecutivo la partnership tra il museo Macro di Roma e la Deutsche bank, scopre e rivela una produzione poco conosciuta di Rehberger che presenta al pubblico un nucleo di disegni, stampe, acquarelli, opere su carta che l’artista ha prodotto tra il 1991 e il 2003. Nell’immaginario collettivo Rehberger è l’artista psichedelico vincitore nel 2009 del Leone d’oro alla 53 Biennale di Venezia, che con la sua installazione intitolata Was du liebst bringt dich aunch zum Weinen (Quello che ami è anche quello che ti fa piangere) ha conquistato un ruolo sulla scena internazionale tra pubblico e critica. Il corpus grafico presentato negli spazi del Museo d’arte contemporanea di Roma svela una sperimentazione bidimensionale che coinvolge molteplici materiali e tecniche. L’excursus espositivo comincia con la serie di sette serigrafie intitolate I sette scenari adatti dell’attentato di Warhol in cui Rehberger raffigura la donna che nel 1968 sparò un colpo di pistola nel tentativo di uccidere Andy Warhol.
I paesaggi acquerellati di Verdun, datati 1991, corrispondono a una scelta stilistica molto particolare come racconta in un’intervista lo stesso autore: «Ho detto, vado a Verdun. E non solo a Verdun, ma anche nelle località sui fiumi Somme e Marne. Sono andato lì con un amico per dipingere con gli acquerelli i campi di battaglia. La ragione è stata simile al motivo per cui ho contrassegnato i siti degli scontri sui miei disegni di montagne con cerchi rossi. In ballo c’è il fatto che non ti è consentito dipingere questo splendido paesaggio di montagne. Negli ultimi cinquant’anni solo a Richter è stato concesso farlo. In quei posti non puoi vedere le cose orribili che sono avvenute durante la Prima Guerra Mondiale, perché in superficie sono semplicemente bei paesaggi».
Collage papier, manifesti pubblicitari decostruiti, stampe, lavorazioni cartacee in computer grafica, ogni opera di Rehberger narra suggestioni disparate, l’idea portante è di trovare nel kitsch, negli oggetti di uso comune fonti estetiche di espressione. Decontestualizzati dalle opere grafiche si inseriscono, nel percorso allestitivo, 33 lampadari di velcro realizzati dagli assistenti dell’artista. Infections sono luci che disegnano ombre, ogni installazione illuminotecnica è pensata per creare forme nell’ambiente circostante, bizzarri scarabocchi sul muro dove la visione personale di Rehberger è mutuata nelle intenzioni soggettive dei suoi collaboratori. L’autonomia di Rehberger è comprensibile in ogni lavoro selezionato, il suo costante impegno di ricerca e sperimentazione rappresenta la chiave di lettura di un linguaggio espressivo che non necessita di incasellamenti o fuorvianti definizioni: «Sono molecole che escono da me – afferma l’artista – e che ti ritrovi sul naso. Si tratta di cose reali per cui ho sudato. I batteri sono andati, uno ad uno. Il materiale è trasformato, come succede nell’arte: prendi qualcosa e la trasformi in qualcos’altro». Quella piccola città cinese è racchiusa nell’estetica eclettica di Reheberger, l’ispirazione non è altro che la fonte di un immaginario complesso e mutevole che narra, senza alcuna remora, di una realtà in continuo cambiamento.
Fino all’11 gennaio 2015, Macro, sala Bianca, via Nizza 138, Roma; info: www.museomacro.org