Il delitto quasi perfetto

Milano

Direttamente dal Witte de With center for contemporary art di Rotterdam arriva al Padiglione arte contemporanea di Milano la mostra Il delitto quasi perfetto, arricchita di nuovi artisti italiani, a cura di Cristina Ricupero e promossa dal comune di Milano. Aperta al pubblico fino al 7 settembre, l’esposizione comprende le opere di 40 artisti che offrono un’esperienza multisensoriale, attraverso l’impiego dei più svariati mezzi per esplorare le mille sfaccettature di cui è composto l’animo umano.
Se un tema conduttore dell’arte contemporanea è la commistione tra realtà e finizione, allora si può affermare che Il delitto quasi perfetto rappresenti la rappresentazione del ventunesimo secolo in un’opera d’arte. La mostra si colloca in un momento storico ben preciso: l’anniversario di una triste pagina della democrazia italiana. Il 27 luglio 1993, infatti, la mafia faceva esplodere una bomba che distruggeva il Pac provocando la morte di quattro persone. Un delitto le cui cause sono ancora sconosciute e cariche di dubbi.

Lo spettatore entra nella kunsthalle attraversando un imponente sipario di velluto rosso realizzato dall’artista Ulla von Brandenburg, per trovarsi di fronte all’opera di Gardar Eide Einarsson, un ritratto inquietante in bianco e nero che gioca sulla fusione di diverse caratteristiche facciali associate dalla fisiognomica a tendenze criminali. In rosso su sfondo bianco le parole di Douglas Gordon ”I’m closer than you think. You’re closer than you know” instillano le prime gocce di instabilità e disorientamento che con l’avanzare del percorso si tramutano in una pioggia di fine estate. La mostra infatti danza continuamente sul filo del rasoio, tra ciò che è cattivo e ciò che è buono, tra l’essere colpevole e l’essere carnefice, tra voyeurismo ed esibizionismo, chiamando in causa tanto lo spettatore quanto l’artista stesso. I suoni di sottofondo provengono da installazioni come quelle di Asli Cavusoglu o di Brice Dellsperger, un soundtrack che richiama il poliziesco televisivo sulla scia di Csi nel primo caso, urla di dolore provenienti da una donna attaccata da forze invisibili nel secondo.

Ci sono artisti che hanno scelto di mettere in scena elementi della scienza della criminologia, come Noam Toran, che pone su un piedistallo la macchina della verità, o che si sono ispirati a fatti di cronaca realmente accaduti, come Jil Magid, che mostra un video di una sparatoria in un campus negli Stati Uniti; altri invece hanno voluto fare l’occhiolino allo spettatore e svelargli alcune verità sul crimine, come Gardar Eide Einarsson che cosparge le sale di riquadri in cui spiega come nascondere oggetti di contrabbando in uno spazio pubblico; altri ancora hanno preso la via della provocazione, come Monica Bonvicini, la cui macchina di tortura e desiderio, composta da imbragature in lattice nero e appesa al soffitto tramite un anello in acciaio, produce un suono metallico e angosciante e indaga i rapporti tra spazio, potere e sesso.

Se lo spettatore fino a qui può sentirsi sospeso in una dimensione inconscia e surreale, entrando nell’ultima sala dell’esposizione ricollocherà gli spunti presi dalle diverse arti messe in gioco, quali il disegno, il cinema, la letteratura, la musica, la scienza, nello spettacolo reale dei crimini mafiosi in cui purtroppo il Belpaese ha fatto la sua parte. ”Perché il desiderio è sempre legato al crimine?” si chiede la voce senza volto del video di Karl Holmqvist. La ricerca di una risposta a questa domanda ha prodotto Il delitto quasi perfetto e forse è proprio il non averla ancora trovata che rende affascinante il rapporto tra estetica e crimine. Di qualcosa si può tuttavia essere certi, e cioè che l’arte smuove ciò che spesso resta nascosto, il non detto, tanto di un singolo spettatore quanto di un’intera società. L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è (Paul Klee).

Dall’11 luglio fino al 7settembre
Padiglione di arte contemporanea, via Palestro 14, Milano
Info: www.pacmilano.it

 

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