Oltre la superfice, dallo spazialismo alla superfice è il titolo della mostra presentata alla Costantini art gallery di Milano, una collettiva di voci famose che hanno mosso gli schemi della storia dell’arte, non solo a livello nazionale ma di fatto, sopra ogni dubbio, internazionalmente: Lucio Fontana, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, e Pino Pinelli sono protagonisti di un percorso artistico che conduce al di là della bidimensionalità. La ricerca affrontata da Fontana, il caposcuola, precursore della percezione si è spinta sino alla disseminazione aniconica intrapresa da Pinelli, dopo essere passata attraverso l’essenzialità materica e del segno vibrante nella struttura, definita da Castellani e Bonalumi. Dai racconti di Bonalumi, rivelati nella sua casa-studio, in un’intervista qualche anno prima della sua scomparsa, si sviscerano le potenzialità dell’incontro con Fontana. «Lui era un personaggio molto generoso – racconta Bonalumi, ripensando al passato – a Milano era già conosciuto, almeno in Europa, se non dappertutto. Aiutava i giovani. Poi con me, Castellani e Manzoni faceva gruppo. È un maestro eccezionale, per noi però era veramente il maestro. Il suo insegnamento è stato importante anche se poi le strade sono diventate altre, specialmente in questo caso per Manzoni. Per gli altri giovani che frequentava era più un appoggio. Fontana era anche per noi un conforto, perché la sua fiducia, la sua stima nei nostri confronti era d’incoraggiamento».
Non è stato facile per loro il percorso, poiché si differenziavano molto da quello che il mercato proponeva. «C’era una sola galleria che ci ospitava a Milano, in zona Brera, che era una galleria di infimo livello, ma oggi non esiste più». Riflettendo sulla lezione più importante che ha imparato da questo grande maestro, Bonalumi racconta le basi della ricerca personale di Fontana, di grande ispirazione per se e per gli altri artisti del suo gruppo. «Fontana, intanto anche quando era informale, utilizzando i punti e le pietre colorate, era comunque un informale diverso e la tela già li non era semplicemente supporto, era materiale che costituiva l’opera. In più dopo qualcosa muta ulteriormente in lui, con l’epoca dei tagli, o anche a un certo momento dei buchi soltanto, della tela bucata soltanto, senza più elemento materico, senza più lustrini o pietre colorate, insomma quando lui fa il primo taglio e dietro ci scrive: L’arte è finita, La morte dell’arte, intendeva dire, oramai è stato fatto tutto, sottolineando questo supporto non serve più, cosa ci facciamo?, e così arriva a distruggerlo e a tagliarlo. La ripetizione poi di questo gesto, lo trasforma in un gesto altro, in qualcos’altro; quello che prima era supporto, preso nella sua oggettualità diventa l’opera stessa. È la tela che faceva l’opera».
Fino al 10 maggio; Costantini art gallery, via Crema 8, Milano; info: 02 87391434