È certo, la campagna di comunicazione che da mesi sta lavorando alla promozione del film, ha sicuramente contribuito ad amplificare le aspettative del pubblico. A distanza di qualche giorno dall’uscita nelle sale del primo capitolo di Nymphomaniac, è ormai chiaro a tutti che non si tratta un film porno. Una volta appurato ciò si potrà forse procedere a un’analisi più obiettiva del film, cercando di rispondere (seppure con difficoltà), alle pesanti accuse rivolte a Lars Von Trier: «È un impostore! Ha solo voluto provocarci! Se lo poteva risparmiare», ancora accompagnate da qualche allusione ai suoi recenti discorsi filonazisti. Se la critica è divisa tra chi lo ama e chi lo odia incondizionatamente, c’è una sola certezza: tutti gli appassionati della pesca alla mosca saranno entusiasti del film. Scherzi a parte, malgrado si possano trovare cavilli, forzature e momenti di sconcerto dai toni vagamente comici, bisogna pur sempre ammettere che Von Trier i film se li sa vendere bene.
Già dall’incipit il film acquista dinamica e velocità. Ve la ricordate la silhouette distesa sull’erba di Kirsten Dunst in Melancholia? Beh, cospargete tracce di sangue su un pavimento di pietra, sostituite la Dunst con Charlotte Gainsbourg, il tutto con un sottofondo di heavy metal dei Rammstein: questo è più o meno l’inizio. L’anziano scapolo Seligman trova in un vicolo la giovane donna ferita, Joe, e la porta a casa sua, dove lei comincia a raccontargli la sua storia. Inizia così il mea culpa (nel linguaggio di Von Trier tradotto in mea vulva, blasfemo come un ritornello satanico) della protagonista, introdotto dalla frase: «Sono un essere umano cattivo e sarà un racconto lungo», che, in un flashback, narra in capitoli la storia della sua ninfomania (la giovane Joe è interpretata da Stacy Martin). Seligman, cercando di infonderle indulgenza, le elargisce lezioni di vita, attraverso parallelismi eruditi, in alcuni casi calzanti, come i numeri di Fibonacci, la polifonia di Bach applicata al sesso, il rimando a Edgar Allan Poe, altre volte tediosi, come la pesca alla mosca (il che, francamente, dà la vaga impressione che l’ingenuo Seligman non abbia colto il senso erotico dell’argomento). Tuttavia la figura di Seligman rimane nel primo volume di Nymphomaniac avvolta nel mistero, in quanto, sarebbe troppo umiliante per Von Trier banalizzare questo incontro, riducendolo a semplice espediente narrativo o a una seduta di psicanalisi o a dialogo socratico di pura erudizione filosofica.
«Caro Lars, grazie per gli impedimenti, mi hanno insegnato a vedermi per quello che sono, un miserabile essere umano, umano», così si concludeva nel 2003 il film Le cinque variazioni, in cui Il sadico Lars Von Trier portava il povero regista Jørgen Leth a superare i limiti e gli ostacoli da lui imposti. Con lo stesso sadismo, il Lars di Nimphomaniac, nascosto dietro le quinte, spinge Joe verso sfide ed esperienze sempre più forti, che riescono a scuotere l’animo di una ragazza insensibile alle sollecitazioni emotive esterne. Soltanto nella sua relazione con il padre riesce a venire fuori la vera vulnerabilità di Joe ma, c’era da aspettarselo, Lars Von Trier non avrebbe mai lasciato campo libero alla commozione e alla razionale spiegazione psicologica del complesso di Elettra di Joe di fronte al padre. Decide così di aggiungere quel pizzico di cinismo, facendo scendere, anziché lacrime dai suoi occhi per piangere il padre morto, una goccia di umori sulle sue gambe.
In un mondo in cui l’amore non trova spazio, dopo l’incontro di Jerome, la pesca di Joe sembra finalmente essersi placata, cedendo al piacere sublime offerto dal connubio perfetto tra amore e sessualità. Ma in questa perfetta sinfonia, la musica dell’organo di Bach viene improvvisamente spezzata dal suo grido disperato: «Non riesco a sentire niente», che ci introduce magistralmente al secondo volume, in uscita nelle sale il 24 aprile.