Lara Pacilio è un’artista che utilizza diversi medium portando temi impegnativi ad esprimersi con una sostanza che sottende la profondità di un approccio introspettivo. La follia è uno di questi; è un tema, poi, da sempre collegato con la creatività, e che attraverso il lavoro di Lara viene inserito in un discorso accostato al sociale. La riflessione si origina da un pensiero sui manicomi, e si sviluppa anche sulla constatazione che persone sane venivano internate per motivi molteplici indipendenti dal loro stato mentale; fondamentale la lettura di Pacilio del libro Scene da un manicomio di Adriano Pallotta, che analizza il contesto manicomiale, l’artista dichiara: «La mia ricerca è iniziata con la visita al manicomio di Volterra. Un’energia molto forte pervade questi luoghi. Arrivando ho sentito un ronzio molto forte: sopra l’edificio c’era un enorme alveare, quel suono amplificava la mia percezione del posto». Nasce un sentire per cui Pacilio parla della follia non come esplosione eclatante di un disagio mentale, ma come espressione di micro follie quotidiane che ci accompagnano nella nostra vita, fanno parte di noi. «Quella pazzia latente, invisibile, è nascosta in ognuno, è uno squilibrio psichico appartenente al mondo contemporaneo. La ritualità della vita ci assorbe quasi completamente nella perdita di identità, di individualità dell’essere, ci spinge verso l’apparire e l’avere. Spesso la donna più dell’uomo è costretta in canoni estetici artificiali ed artificiosi. Non c’è la forza di andare contro il sistema e questo crea delle mancanze che sfociano in frustrazioni e micro follie che possono tramutarsi in follie vere e proprie, ma la mia ricerca si basa sul micro cosmo interno che in realtà è la nostra più grande risorsa».
Nella personale Pneuma alla galleria Cinica, Palazzo Lucarini Contemporary, a Trevi a cura di Maila Buglioni l’artista ha presentato il video Mütter, che vuol dire “madri” in tedesco, la riflessione di Lara parte da qui: «la madre è uno dei pilastri su cui si basa la nostra società, ed è proprio nelle famiglie che iniziano i nostri stati di malessere. Una madre frustrata chiederà al figlio di appagare o realizzare tutti i desideri in cui lei non è riuscita» Nell’opera, una donna nuda indossa una maschera mostruosa, si trova all’interno di un cerchio sospeso, un feto e delle protesi sanguigne esterni sono collegati a lei, da qui parte un percorso che conduce alla ciclicità della nascita, della vita e della morte: «il tempo scorre senza che in noi ci sia coscienza della ciclicità. Niente ci appartiene tanto meno la nostra vita, essa appartiene alla natura. Partendo dal presupposto che l’esistenza abbia una ciclicità: nascita, vita, morte, penso che l’uomo si sia creato una ciclicità dentro la ciclicità, nella vita stessa: un ripetersi di eventi e condizioni che non riescono a farci progredire e che ci tengono ingabbiati. Ovviamente tutto può cambiare, dipende dalla prospettiva che si adopera». Il feto e le protesi sanguigne sono indice di una sofferenza al femminile anche legata allo stato di subalternità della donna rispetto all’uomo. La maschera è stata realizzata appositamente: «le mie maschere sono studiate su persone reali, in loro ho visto delle forme di “follie” su cui ho voluto soffermarmi. Esse sono sintetizzate ed a volte esasperate come nel caso di Mütter. Qui la performer non è altro che il supporto sul quale si posa la maschera, chiunque si può proiettare all’interno di essa. La performer è nuda perché la nudità è per me simbolo di purezza, in fondo le follie sono pensieri o atteggiamenti che non sappiamo gestire, sono la parte più intima, li considero puri», come spiega l’artista. L’incontro con la Madonna è un riferimento all’ideale di donna perfetta che ci accompagna da millenni, “ma noi donne non siamo perfette mogli o madri e dovremmo ammetterlo senza senso di colpa”, aggiunge Lara. Come non ricordare la citazione del film Nostaghia di Andrei Tarkovskij nella scena della Madonna del parto. Mentre la suggestiva uscita degli uccelli dal ventre dell’Icona rappresenta i figli mai nati. Sottolineato da Maila Buglioni: “«’affronto con l’idolo evidenzia l’umana piccolezza dell’individuo e la sua natura mortale». Alla fine quel cerchio che richiama la ciclicità ci conduce alla morte inevitabile, simboleggiata dalle protesi da cui, sul finale, esce sangue. Pacilio definisce il luogo delle riprese “un enorme feto malato che ha contenuto la mia storia, un posto in cui la “mia maschera” e la “mia follia” potessero sentirsi a casa. Il degrado è lo stato delle cose.” Le musiche sono state create appositamente per il video dal musicista e compositore Luca Nostro, la performer è Valentina D’Angelo, fotografia e riprese sono di Roberto Mariotti, la postproduzione è di Gianluca Spinuso.