Henri Matisse, come ogni artista degno di questo nome, aveva un’ossessione, un chiodo fisso che qualunque cosa facesse non c’era verso di spostare anche solo di un millimetro. Ossessione tanto più forte quanto più banale per un pittore: la figura femminile. Difficile cercare un tema più comune nella storia dell’arte ma il vero genio di Matisse è (anche) qui che esce fuori inaspettato. È proprio in un campo blasonato che il francese si trova costretto a dare un’interpretazione personale su un tema universale e lo fa senza difficoltà con una naturalezza degna del suo nome. Non sorprende allora che nel palazzo dei Diamanti a Ferrara viene allestita una mostra intera, tra l’altro curata da ex vicedirettrice del Pompidou e profonda conoscitrice del pittore, Isabelle Monod-Fontaine; a Matisse e al suo rapporto con la figura femminile intitolata, appunto, Matisse, la figura.
Il percorso è in realtà, senza perdere la sua vocazione tematica, un pretesto per raccogliere i lavori dell’artista, profondo sperimentatore di tecniche che senza posa nel corso della sua vita passa dalla pittura, alla scultura fino alla grafica. Un cammino che Matisse intraprende fin dai primordi in seno al Fauvismo, periodo che regala ai lavori un’attenzione per il colore che il pittore non lascerà mai. Insegue il sogno cubista come molti artisti del periodo lasciandosi ispirare da opere d’arte antiche di terre lontane dalle quali impara a distorcere il segno, a proporre una maniera alternativa alla mimesi. A ben guardare tutta la carriera del pittore può essere riassunta in questi due movimenti dai quali raramente si allontana pur senza aderirci del tutto ma regalando una visione personale del mondo.
Fra le opere in mostra, alcune provenienti da collezioni e musei stranieri come il Moma di New York e il Pompidou di Parigi. Un lavoro fra tutti riassume l’amore per la grafica di Matisse, l’arcinoto libro Jazz. Fra le pagine del volume l’artista intende la grafica come uno scavare il segno alla ricerca di una semplicità, nel sogno, quasi, di rappresentare il mondo con meno segni possibili nella speranza di poter suggerire il reale senza copiarlo esplicitamente. A un’austerità di forme Jazz fonde una calcolato uso del colore steso a campiture piatte, senza sfumature con tonalità urlanti come a chiudere un percorso cominciato a Parigi, quando scambiarono i suoi lavori per delle bestie.
Fino al 15 giugno, palazzo dei Diamanti, corso Ercole I d’Este 21, Ferrara; info: www.palazzodiamanti.it