Non c’è tre senza quattro

Se non c’è due senza tre, da Peggy Guggenheim Venice, non c’è nemmeno il tre senza il quattro. Et voilà, la quarta edizione di Temi & variazioni, l’originale formula curatoriale ideata da Luca Massimo Barbero nel 2002 per le opere e gli spazi della location veneziana. Con L’impero della luce, la mostra accosta per la prima volta le raccolte del museo a una selezione di opere provenienti da una raffinata collezione privata statunitense. A stupire sono confronti inediti di alcuni indiscussi maestri come Edgar Degas, Henry Matisse, Mark Rothko o Lucio Fontana, attraverso una serie di veri e propri faccia a faccia con lavori rappresentavi di identità in apparenza lontane, eppure capaci di dialogare e fondersi per similitudini tecniche ed espressive. Il visitatore inizia così un viaggio lungo un percorso-studio che stupisce per una nuova comprensione di opere, note e meno note, oltre i confini temporali del Novecento per toccare la contemporaneità di Gabriele Basilico, David Hockney, Gerhard Richter, Anish Kapoor, Thomas Ruff, Kiki Smith, Hiroshi Sugimoto e Piotr Uklański. Perno dell’esposizione è la luce, pensata per assonanze e contrasti. Interagisce con i soggetti come riflesso e luminescenza. Quella luce che è alba, tramonto, crepuscolo, intesa come surreale oscurità, protagonista indiscussa ad esempio, del celebre dipinto di René Magritte, L’impero della luce, quadro principe della mostra, tanto amato da Peggy Guggenheim.

Cinquantaquattro eccezionali opere suddivise in otto sale, ognuna con un suo specifico tema: figure e occhi, luoghi, oscurità e opacità, l’impero della luce, spazio e percezione, espressione, inconscio, natura. La sezione conclusiva, quale omaggio ormai tradizionale del museo all’arte italiana, è dedicata all’artista Fausto Melotti: una preziosa monografica che include 20 opere, tra cui Contrappunto II, Orfeo dimentico, Chiave di violino, creazioni di questo poetico scultore, un vero e proprio compositore di arte-musicale. La leggerezza delle sue linee delicate si lasciano avvolgere dalle sonorità delle emozioni. Un artista che va ascoltato più che osservato, le sue creazioni, cantano, vibrano e sanno muoversi tra gli spartiti di qualsiasi opera classica, da Il segreto per esser felici, Lucrezia Borgia di Donizetti a La campanella di Listz. Ha per anni intitolato alcuni dei sui lavori proprio Tema e variazioni, da cui prende origine il titolo della rassegna.

Questo omaggio si concentra sul periodo finale del suo percorso artistico, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. In questi decenni, Melotti crea una scultura aperta e di estrema sintesi e stilizzazione, fatta di metalli duttili, come l’ottone, e poveri, come le stoffe dipinte. Armonie di materiali, forti nell’esprimere abissi affettivi come Rondò delle idee galanti dove un vortice di emozioni coinvolge solo chi è capace di lasciarsi trasportare del tocco del maestro. Realtà espositive, esposte al Guggenheim, che hanno segnato la storia dell’arte e preziosi simboli di un sentiero culturale che insegnano e continuano a stupire. Da ricordare uno straordinario lavoro di Mark Rothko, Senza titolo del 1968, appartenente a una fase avanzata e drammatica dell’artista, che nel febbraio del 1970 si concluderà con il suicidio. Un esempio di come una visita a un museo riesca a trasformarsi in una lezione universitaria d’arte lasciandoci in balia di quelle strane, ma importanti sensazioni, cariche di perché, come e forse. «Questo quarto ciclo – ci dice Barbero – gioca sull’idea del tempo che non passa, l’idea del trans della letterarietà di ogni opere compresa come commistione in dialogo. Spezzare le classicità, confermare la forza dell’arte contemporanea e sottolineare come la collezione di Peggy sia straordinaria e sempre in diretto contattato con la contemporaneità».

Fino al 14 aprile; palazzo Venier dei Leoni Dorsoduro 701, Venezia; info: www.guggenheim-venice.it