Piero Della Francesca a NY

Le opere di Piero Della Francesca sono brutte. Se così non sembra è solo perché la nostra estetica ha deciso di fondare le sue radici su questo tipo di rappresentazione. Ma un volto a forma di uovo, è oggettivo, non è quello che può definirsi un bel viso. A ricordarci quanto tutto questo sia vero ci pensa la mostra Newyorkese, al Metropolitan, dedicata al pittore rinascimentale. Merito dell’esposizione è raccogliere quattro opere che per la prima volta vengono presentate insieme. Le tavole in questione sono tutte di soggetto devozionale e provengono da quattro collezioni diverse: San Girolamo e un donatore (gallerie dell’accademia di Venezia), San Girolamo in un panorama (Gemaldegalerie di Berlino), Madonna con il bambino (collezione privata di New York) e, forse il pezzo più importante, sicuramente il più noto, la Madonna di Senigallia dalla gallerie delle Marche a Urbino. Piero della Francesca personal encouter è il titolo della mostra che va avanti fino a tutto marzo nella Grande mela e che rende i promotori dell’evento, fondation for italian art and culture, particolarmente soddisfatti: «Il Metropolitan ospita una presentazione dei dipinti devozionali dell’artista, affrontando per la prima volta i lavori che raccontano la sua devozione intima».

Lontano dall’essere un tipo tutto casa e chiesa, Della Francesca era prima di tutto e sopra ogni altra cosa un architetto. Crederlo un pittore, o un grande fedele, sarebbe uno sbaglio e le tavole (come i suoi scritti) stanno a dimostrarlo. Il soggetto religioso per l’artista era una commissione da portare a termine, era un pretesto per sperimentare la sua idea di pittura che trovava bellezza nelle pure forme geometriche. Algida perché perfetta, nata da numeri prima che da segni, la pittura di Piero Della Francesca sembra semplicemente mettere in pratica le sue teorie pittoriche. Assomiglia quasi a un Cezanne ante litteram: la sua necessità di trasformare ogni cosa in una forma calcolabile, misurabile riferibile a dei numeri, «trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono» scrive infatti il post impressionista francese e il suo risultato pittorico può essere paragonato a un Della Francesca estremizzato, portato all’ultimo stadio di un percorso che culminerà con il cubismo.

Ma misurare il mondo è una necessità che non comincia con il pittore toscano è un discorso che ha basi lontane e trova la sua origine nella prospettiva intuitiva di Giotto. Quello che per l’artista trecentesco era quasi una ricerca di virtuosismo pittorico diventa calcolo con le teorie spaziali di Brunelleschi. L’idea alla base della prospettiva, secondo l’architetto fiorentino e per la prima volta nella storia, è misurare lo spazio, rendere un ambiente calcolabile anche nella sua rappresentazione grafica, avere la possibilità di conoscere quanti piedi ci sono fra una colonna e un’altra di una campata. Leon Battista Alberti prende Brunelleschi e lo teorizza cosa che lui non poteva date le sue umili origini, cosa che invece riusciva perfettamente all’Alberti (non dimentichiamoci che ha scritto anche un trattato sulla famiglia, per dire). È in questo humus che cresce Della Francesca e solo così possiamo spiegarci le sue architetture perfette sullo sfondo, i suoi visi da compasso, i suoi colori stesi piatti quasi a sottolineare quanto più di geometrico c’è nelle sue composizioni. Difficile, insomma, vederlo inchinato davanti un’opera per raccogliere qualche grazia da San Girolamo.

Fino al 30 marzo; Metropolitan museum, New York; info: www.metmuseum.org