Il tesoro di Napoli

Roma

Le meraviglie del museo di san Gennaro per la prima volta, dopo secoli, lasciano le mura partenopee per approdare a Roma nelle sale di palazzo Sciarra, sede del museo fondazione Roma, per farsi ammirare dal pubblico e dagli studiosi, in un percorso espositivo di forte impatto visivo ed emozionale. Sfavillio dei metalli, tinte infuocate e bagliori incandescenti di diamanti, rubini e smeraldi rievocano anzitutto le vicende di Napoli e della sua gente, del folclore e della esemplare cultura millenaria della città vesuviana. Religiosità appassionata, estro e tradizioni si combinano con la sontuosità delle opere esposte proiettando lo spettatore in un’atmosfera prodigiosa e fluttuante di instabilità e vaghezza esistenziale: il medesimo sentimento di genuina napoletanità che si respira nei pittoreschi vicoli, gradoni, fondaci e piazzette di Napoli, dal decumano maggiore alle stradine dell’inferiore, meglio noto come Spaccanapoli, da via san Biagio dei Librai a via san Sebastiano fino al quartiere degli Orefici e alla Basilica di Santa Chiara, teatro open air di celebrazioni e processioni. Tra le rievocazioni più attese, quella del protettore e campione san Gennaro che ogni diciannove di settembre sfila per la città assediato dalla devozione popolare.

L’esposizione romana illustra, dal 1300 a oggi, attraverso le settanta opere in mostra tra arredi sacri, dipinti, sculture, documenti e disegni distribuiti in sei sezioni, sia la nascita e l’evoluzione del culto verso san Gennaro sia l’abilità degli artisti di scuola napoletana nel produrre argenti, gioie e manufatti, poi confluiti nel Tesoro del Santo. Appartenente eccezionalmente a una istituzione di natura laica in autonomia dalla Curia, la deputazione della Real Cappella del Tesoro, costituita fin dal 1601 dai rappresentanti dei quartieri di Napoli, o Sedili, con il compito di preservare e promuovere l’eccezionale bene comune, tale patrimonio costituisce attualmente una delle più rilevanti collezioni di arte orafa al mondo, superiore per ragioni storiche, artistiche ed economiche anche allo splendido assortimento di proprietà dello zar Nicola II e della famiglia imperiale dei Romanov e ai gioielli della Corona britannica, come ha messo in luce un recente studio coordinato da Ciro Paolillo, curatore, congiuntamente a Paolo Jorio, della mostra romana. Donazioni e regalie di imperatori, papi e regine (da Maria Carolina d’Austria a Vittorio Emanuele II e Maria José di Savoia, da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat a Maria Amalia di Sassonia e Maria Carolina d’Austria) ma anche ex voto popolari hanno costituito nel corso di settecento anni il Tesoro di san Gennaro che, a differenza di numerose collezioni dinastiche razziate o smembrate, si è conservato inalterato nel tempo e ha continuato a essere costantemente ampliato con le sue 21.610 opere attuali. Omaggi fastosi di sovrani ma anche oggetti comuni rivelatori del legame profondo esistente tra il Santo e i napoletani; suggestiva la scatola di caramelle donata al guaritore da due bambine dopo il miracoloso risanamento della madre.

 Tra i pezzi in esposizione, la splendida Mitra di inestimabile valore simbolico e artistico, in argento dorato e guarnita da quasi 3900 tra diamanti, metafore della fede profonda, smeraldi, del legame tra san Gennaro e l’immortalità, granati e rubini, emblemi del sangue del martirio; eseguita nel 1713 dal maestro orafo Matteo Treglia su commissione degli Angioini, per essere abbinata al busto durante le abituali celebrazioni, il sacro copricapo è fresco di un abile restauro da parte di un’equipe coordinata da Claudio Franchi. Sfarzo e inventiva concorrono nella Collana di san Gennaro, ornamento per il busto del santo, elargita al patrono dai Borbone, dai Bonaparte e dai Savoia; gioiello tra i più preziosi al mondo, attrae con l’abbacinante fulgore dell’oro, dell’argento e dei pendenti gemmati assemblati attraverso un certosino lavoro di oreficeria tra il 1679, anno della commessa a Michele Dato che insieme ad altri artigiani la completò in soli cinque mesi, e gli ultimi interventi del 1933. Da ammirare inoltre la raffinata Pisside in oro, malachite e corallo, incastonati da Domenico Ascione noto orafo di Torre del Greco e donata da Umberto II di Savoia, deliziosa negli accostamenti cromatici di giallo dorato, smeraldino e corallo rosa. E ancora il Calice Lofrano, dal nome dell’artista che lo eseguì nel 1761 per Ferdinando di Borbone con tecnica a sbalzo e cesello ornandolo di smeraldi, rubini e brillanti, la Croce episcopale del 1878 di manifattura napoleonica in oro, smeraldi e diamanti e il Calice in oro zecchino acquistato per tremila ducati da Pio IX e donato ai napoletani che avevano accolto il pontefice all’indomani delle rivolte mazzianiane a Roma. Interesse suscitano anche le piccole statuette in argento e rame dorato di santa Irene, santa Maria Egiziaca e del san Giovanni Battista di un ignoto argentiere partenopeo del 1695 caratterizzato dalla esperta fattura e dall’intensa espressività.

Tra le testimonianze figurative, il san Gennaro benedicente eseguito da Francesco Solimena nel 1702 sancisce l’iconografia ufficiale del martire; la bella tela tardo barocca ritrae un santo adolescente corredato dai consueti attributi: le due minute ampolle contenenti il sangue del martirio adagiate sul libro dei Vangeli e i due femminei angeli, parenti stretti dei guaglioni napoletani, che reggono con sentimento devozionale il pastorale ad indicare lo status di vescovo. Il giallo cangiante dell’abito talare e della mitra è il medesimo colore che contrassegna il nomignolo faccia ‘ngialluta con cui veniva affettuosamente invocato il santo in riferimento al busto dorato, di cui è esposta a Roma una copia fedele, custodito sull’altare della Cappella partenopea. Un tripudio d’oro, d’argento e di gemme accompagna la trasferta romana di san Gennaro come a confermare l’invocazione che Dudù (Nino Manfredi nel film Operazione San Gennaro) rivolgeva in toni accorati alla statua del protettore mentre si apprestava con i compari mariuoli a derubare il Tesoro: «Dammi l’autorizzazione e io ti faccio diventare il santo più importante».

Fino al 16 febbraio, museo Fondazione Roma – Palazzo Sciarra. Info: http://www.fondazioneroma.it