Torna la Disney con un lungometraggio natalizio tratto dalla fiaba La regina delle nevi di Hans Christian Andersen e che porta il nome di Frozen, il regno di ghiaccio, accompagnandoci all’interno di un regno dove vige un inverno senza fine a causa di un incantesimo lanciato accidentalmente da Elsa. Sarà la sorella Anna assieme al rude personaggio Kristoff ad affrontare un viaggio che spezzerà il gelido sortilegio; tra ritmo e canzoni il film d’animazione diretto da Chris Buck e Jennifer Lee diventa riflesso metaforico di percorsi umani che progredisce e si trasforma mediante un percorso che servirà ad esplorare nuove consapevolezze sugli aspetti contrastanti della vita, e dei rapporti umani con annesse complicazioni; le stesse riscontrate nella vita interpretata e diretta da Ben Stiller nei Sogni segreti di Walter Mitty in cui l’attore indossa i panni di un photo-editor che conducendo affannosamente la vita reale trova rifugio in un’esistenza fatta d’immaginazione, la scomparsa e conseguente ricerca di un negativo perduto condurrà il protagonista a imbattersi totalmente nella realtà scoprendo che un’esistenza basata sulla verità può spesso regalare gratificanti sorprese, abbandonando insicurezze fondate su schemi mentali che in questa settimana cinematografica rimandano all’atteggiamento dei quattro protagonisti del film diretto da Ciro De Caro Spaghetti Story consapevoli di ciò che desiderano dalle proprie vite ma vittime di una certa staticità costruita su paure interiori e probabilmente sulla mancanza di autocritica, sarà l’incontro con la prostituta cinese Mei Mei a dirottare le loro fragili consapevolezze per crearne di nuove e maggiormente robuste. L’opera interpretata da Sara Tosti, Valerio Di Benedetto, Cristian Di Sante, Rossella d’Andrea, Deng Xueying e sceneggiata dallo stesso De Caro risulta ben sorretta da un ritmo adeguato che non lascia spazio a momenti vuoti determinando lo scorrere continuativo della pellicola; un’osservazione equilibrata e critica rispetto all’attuale stagnate periodo sul quale un’intera generazione è costretta a muoversi con smarrimento e senso d’inadeguatezza, contrariamente al modo in cui si muove Philomena, protagonista dell’ultimo progetto cinematografico di Stephen Frears interpretato da Judi Dench spalleggiata da un bravissimo Steve Coogan che scrive anche la sceneggiatura.
Tratto da una storia vera e basato sul libro The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith il film trascrive in immagini il percorso di una donna irlandese che dopo essere rimasta incinta in età adolescenziale viene cacciata dalla famiglia e catapultata presso il convento di Roscrea, Il figlio verrà dato in adozione all’età di tre anni a una coppia di statunitensi ma la donna continuerà a cercalo per cinquant’anni senza risultati. Qualcosa verrà smosso grazie all’incontro con il giornalista Martin Sixmith che aiuterà la donna nella ricerca del figlio. Ancora una volta la mano di Frears non smentisce nel comporre gli elementi filmici e nel dirigere gli attori, sorretti in questo caso da una sceneggiatura che aderisce con completezza alla storia trattata e dalle musiche di Alexandre Desplat che accrescono il valore di un’opera in cui elemento principe è la contrapposizione dei caratteri rappresentati. Magnifica Dench che trova giusta complicità recitativa con Coogan e colorita da mille sembianze in un personaggio di grande forza esaltato da un robusto buon senso; non vi è una risoluzione vera e propria piuttosto una sorta di convivenza inerentemente al tema della fede in Dio e dell’ateismo, i due personaggi non cambiano parere e restano coerenti assorbendo nuove consapevolezze grazie a un viaggio caratterizzato da tinte dolorose ma non rassegnate all’eccesivo indebolimento interiore. Una pellicola dalle molteplici chiavi di lettura grazie anche all’interscambio di due generi cinematografici differenti, quello comico e drammatico, che corre a braccetto in un ritratto mai scontato e che assume posizioni senza ipocrisie.