Gabriele Basilico al Maxxi

Gabriele Basilico era un uomo rinascimentale. Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria ha scritto che un edificio arriva alla perfezione quando nulla si può aggiungere senza rovinarlo. Stessa cosa per le fotografie di Basilico. O meglio le fotografie di Basilico sono così: perfette. È sufficiente guardare qualsiasi suo scatto per confermare la tesi. Il Maxxi ne espone ben settanta. Giovanna Calvenzi, curatrice della mostra nonché ex collaboratrice del fotografo, dice: «Gabriele era un instancabile camminatore, cercava sempre il punto esatto per lo scatto, l’angolazione giusta». Quello che studiava era l’inquadratura che riordina il mondo. Le sue fotografie sono in qualche modo astratte, pur rappresentando costruzioni reali, l’inquadratura scelta ne da una visione soggettiva. Quello che fa di Basilico un artista è che la sua inquadratura sostituisce il reale anche se, o soprattutto perché, è in bianco e nero. Scatti austeri e pieni che rivelano la formazione d’architetto del fotografo che lascia il tavolo da disegno dopo la laurea per girare la sua amata Milano con la macchinetta fotografica.

Sono cinque i nuclei nella mostra del museo del XXI secolo che ripercorrono il cammino artistico del fotografo e il suo rapporto con la struttura. Cantieri d’autore ne è un ottimo esempio: nella sezione vengono raccolte le fotografie di Basilico che scoprono il Maxxi prima del suo completamento. Lo sguardo del fotografo depura e anestetizza anche un cantiere enorme come quello che fu per il museo. Ci sono sempre le gru, ci sono sempre quelle macchine disumane che davanti al suo obiettivo diventano sculture e parti integranti della composizione finale. «Nel cantiere si vede bene la capacità del fotografo di cogliere l’essenza – osserva Calvezzi – nonostante fosse ancora tutto in farsi compaiono le forme definitive della struttura». Capacità che ritorna nel nucleo dedicato alle Città, dove incontriamo gli scatti su Beirut realizzati nel 1991, anno di un’ennesima guerra civile che distrusse la metropoli. Anche qui Basilico trova rovine ma torna a casa con una città. Fra le macerie il fotografo posa il suo occhio su quello che rimane delle costruzioni umane, permangono le strade, sullo sfondo edifici ancora integri, persone sole che camminano in quell’inferno che nonostante tutto sembra ancora astratto.

Nella sezione delle città (15 fotografie prese direttamente dalla collezione del Maxxi), compaiono anche Napoli, Milano, Genova, Palermo e Roma, ripresa sottolineando la convivenza fra antiche strutture e contemporanee creazioni. Commissionata invece dallo stesso museo nel 2003 è Atlante italiano, una ricerca sul paesaggio del Belpaese che il fotografo ha deciso di sviluppare intorno allo stretto di Messina analizzandone le sponde in Sicilia e Calabria. Rilegge l’Architettura degli anni Cinquanta in un altro nucleo espositivo dedicato agli architetti del dopoguerra con gli uffici della Zanussi realizzati da Gino Valle. Compatto il gruppo di foto che ritraggono le costruzioni di Luigi Moretti commissionate al fotografo nel 2010 dallo stesso museo per la mostra dedicata all’architetto razionalista. L’esposizione, insomma, è il racconto di una storia d’amore fra il fotografo e il museo che fra commissioni e opere in collezione vuole rendere omaggio al grande fotografo scomparso.

Inedito è invece il video datato 2012 del regista e architetto israeliano Amos Gitai che presenta una conversazione con il fotografo di cui in mostra vengono presentati quattro spezzoni nei quali commenta le sue opere passate chiarendo molti punti della sua poetica. Altrettanto inedito è lo scritto dello stesso fotografo stampato sul libro della Contrasto uscito in occasione della mostra «per avere qualcosa di nuovo, non mi sono mai piaciuti gli omaggi», come dice la moglie di Basilico e curatrice del libro, Francesca Fabiani.

Enorme è il lascito stilistico di Basilico che stilare una lista di nomi sarebbe operazione senza fine. E facile è capire il perché, usciti dalla mostra infatti allo sguardo normale si sostituisce quello del fotografo (merito più alto di ogni artista degno di questo nome) e gli edifici (tutti) diventano potenziali protagonisti di osservazioni più attente che ci costringono a essere guardati in maniera diversa chiedendoci chissà come li avrebbe visti Basilico. Già, chissà.

Fino al 30 marzo; Maxxi, via Guido Reni 4, Roma; info: www.fondazionemaxxi.it