India-Europa andata e ritorno

Il Maxxi ha ospitato il primo dei tre appuntamenti di In-dialogue, iniziativa nata dalla collaborazione con la fondazione no-profit Find (fondazione India-Europa di nuovi dialoghi). La fondazione, originariamente istituita dallo studioso francese Alain Danielou, promuove il dialogo e lo scambio culturale tra l’India e i paesi europei. Il museo dopo la positiva esperienza della mostra Indian highways, che ha proposto al pubblico le opere di 30 artisti indiani, intende dare nuova linfa al rapporto con l’arte contemporanea indiana. Il primo appuntamento di In-dialogue ha avuto come ospiti Subodh Gupta e Bharti Kher, due tra i maggiori artisti indiani contemporanei, e Malvika Singh, editrice di Seminar, rivista accademica fondata nel 1959.

I due artisti hanno illustrato al pubblico il proprio lavoro commentando le immagini delle loro opere proiettate sullo sfondo, in una conversazione ricca di aneddoti e di spunti interpretativi. «Ogni giorno prima di recarmi al mio studio era come se mi chiedessi perché vado al mio studio e cosa vado a fare?—dice Bharti Kher—fare arte è una cosa davvero strana, è una sorta di follia, la frase che preferisco è di Kant, quella che dice la follia è un atto di libertà basato su nient’altro che su se stesso; ecco, quando vado al mio studio porto con me qualcosa di questo pensiero» e ancora, descrivendo la scultura The Skin Speaks the Language not its Own (2006) «Questa è la prima tra le mie follie più celebri, è una scultura a grandezza reale di un elefante femmina morente accasciata al suolo. Quest’opera è nata dopo aver assistito alla tragica scena di un elefante trasportato da un camion, osservavo le sue zampe, notando che sono attraversate da più linee di quante non ne abbiano le nostre mani, quelle zampe raccontavano già una storia, se guardate l’opera da vicino potrete osservare che la superficie è interamente ricoperta di bindi (ornamenti a forma di goccia, indossati sulla fronte dalle donne indiane)».

Il dialogo frontale ha reso possibile comprendere il senso e la portata della loro creatività attraverso la narrazione diretta, non mediata da letture critiche, talvolta prendendo spunto da queste per delle precisazioni. «Prima di tutto voglio dire che il mio viaggio è la mia arte — esordisce Subodh Gupta fornendo la chiave con cui accedere al significato delle sue opere – in molti mi hanno chiesto perché avessi scelto il teschio per questo soggetto; il teschio, mi dicevano è un simbolo europeo, non indiano, in realtà non è così – spiega Gupta parlando dell’installazione Very Hungry God (2006)– in India il teschio è un simbolo ricorrente, soprattutto nei Tantra e nelle rappresentazioni di Kali (divinità terrifica femminile del pantheon induista)». Il pubblico ha risposto con interesse, contribuendo attivamente al successo dell’iniziativa. L’appuntamento con In-dialogue è al prossimo anno, con la partecipazione di nuovi artisti, poeti, scrittori dal subcontinente indiano.

Foto Manuela Giusto

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