Musica, opera prima per Cosmo

L’incipit risolve l’imbarazzante problema di non aver deciso del come della nostra nascita. L’inizio di un romanzo, di un film è l’unica chance che abbiamo di venire al mondo come avremmo voluto. In caso contrario, il romanzo, il film semplicemente comincia. Il romanzo, il film o l’album. Disordine (42 records) è il primo lavoro di Cosmo, al secolo Marco Jacopo Bianchi, e comincia esattamente come una nascita: «A tutti i suoni del presente che ti dicono chi sei sono le prime parole che vengono pronunciate nel disco – dice Cosmo – le metto all’inizio così hai tutto il tempo per chiederti cosa significano». Parte senza neanche uno strumentale la prima canzone dell’album, Dedica, con un sincopato a reggere la frase che suona come un manifesto. «L’idea era passare la sensazione che solo i suoni contemporanei mi toccano veramente e attraverso di loro cerco di capire chi sono, chi siamo. Sì, forse sono un po’anti revivalista, mi interessano i suoni di adesso, è li che vibro e che vivo».

Affermazioni che trovano conferma nelle canzoni di Disordine, nell’utilizzo della parola “suono” al posto del più classico “note” (per capire di cosa parliamo basta leggersi una cosa qualsiasi di John Cage), slanci contemporanei che non si arrestano nemmeno di fronte alle sue cover di Lucio Battisti. «Credo che bisogna essere rispettosi nei confronti della nostra tradizione ma non trattarla come una legge. Cioè, bisognerebbe trovare una via straniera alla musica italiana, farla incontrare con mondi diversi non sempre fissi al cantautorato anni ’70». Le due cover di Battisti (Io ti venderei e Abbracciala, abbracciali, abbracciati) sono lo specchio della base teorica che regge il lavoro di Marco. Due canzoni prese e reinterpretate senza snaturarle, esperimenti dove i due musicisti aprono una finestra di dialogo che li trova in sintonia su un’infinità di punti. «La sua voce, con la sua emotività è quello che mi colpisce di più, che poi ai tempi è stata criticata tantissimo. Battisti è un artigiano del pop e credo che se potesse ascoltare le mie cover mi capirebbe, ho continuato dove lui non ha potuto per mancanza di mezzi tecnologici».

Cercare un’altra strada alla chitarra 4 accordi e un testo è il merito più grande di Cosmo. Secondo solo al non buttare quello che di bello ci ha lasciato per lanciarlo nella contemporaneità. La volontà di chiamarsi fuori dal lungo e saturo strascico del cantautorato è sottolineata nel live dall’assenza di strumenti tradizionali e dalla presenza di due campionatori, uno a destra e uno a sinistra, che contro luce e contro i fumi ricalcano la silhouette (dimezzata) dei Kraftwerk. Fuori da Marco e dai suoi due campionatori nessun altro suona sul palco. «Ho aggiunto ai miei concerti una coreografia con due ballerine e un visual che viene proiettato alle mie spalle. Volevo fare una cosa a più piani, la musica, la danza e il video, così ti arriva addosso uno spettacolo su più registri. Non mi interessa stare al centro dell’attenzione, poi se uno vuole guardarmi per tutto il concerto sono lì». Nonostante i suoni registrati e le basi mandate in loop, Cosmo ha voluto lasciarsi una manovra d’esecuzione. «I due campionatori non sono coordinati, ho previsto un tempo per l’improvvisazione e in generale ho cercato un compromesso fra la libertà di non suonare niente e il vincolo che ti lega a uno strumento».

Un concerto di Cosmo non ti invade con i suoi tre registri, non vieni bombardato dal visual, distratto dalla ballerina o ipnotizzato dai bassi delle canzoni; quello che percepisci è la costruzione di un’idea che tanto più è in farsi e fragile tanto più è affascinante come il passo balbuziente di una donna sui tacchi, la sera, sui sampietrini.

Info: http://cosmomusica.tumblr.com/