Roma, facile dire cultura

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Si fa presto a dire cultura. Se con la cultura si mangia, contrariamente a quanto diceva qualcuno, pare altrettanto vero che questa non sia il piatto del giorno nella capitale, a sentire la rosa dei candidati al Campidoglio. Prendete il programma del già sindaco Gianni Alemanno, che ha chiuso la campagna al Colosseo, forte del supporto dell’unto del signore, poi volato da Putin per una delle sue seratine d’alto bordo. Snocciola cifre da capogiro, il già delfino di Fini: 33 milioni di turisti, il numero maggiore di sempre, a suo dire: crescita e successi nel quinquennio appena concluso, benché Roma sia scivolata alle spalle di Istanbul, e di alcuni gioielli di famiglia – vedi l’Estate romana e la Festa del cinema – resti poca cosa. Ma non tutto l’operato è da buttare in campo culturale per la giunta che ha vissuto – senza rimpianti, tiene a dire il sindaco – l’affossamento di Umberto Croppi, oggi passato al nemico d’elezioni ma compare di governo, e la sua sostituzione alla guida dell’assessorato alla Cultura con Dino Gasperini. Così, nell’attesa di sapere se verrà riconfermato, il primo cittadino chiede altro tempo per completare l’opera e batte cassa, ché solo per il restauro delle mura aureliane servono 50 milioni di euro e mani private.

Del suo più diretto sfidante, il dottor Ignazio Marino, nulla è dato sapere in tema di cultura, visto che non si è degnato di darci risposta, né si registrano risposte date ad altri. Forse per il candidato del centrosinistra è un puzzle tutto da riempire, come piazza San Giovanni desolatamente rimasta semivuota, in chiusa di campagna elettorale, nonostante l’ottimo Dario Vergassola. Un rompicapo come il presente – del doman non v’è contezza – dell’intero Pd meno elle, come dice qualcuno, benché Zingaretti, ché di questa città avrebbe dovuto essere sindaco senza tentennamenti, di cultura si sia riempita la bocca per tutta la campagna che l’ha portato alla guida della regione Lazio.

L’educazione sentimentale di Alfio Marchini, che in tema di cultura cita Flaubert e mira a fare di questa città un modello, puntando sui quartieri, come pure sulla defiscalizzazione e su figure raccomandabili, non raccomandate, raccoglie simpatie insospettate, a partire da Antonello Venditti che ha strimpellato al suo comizio finale. La storia di Roma non merita di scopiazzare brutte copie di compiti altrui, e su questo ci sentiamo di non dissentire col simpatico e belloccio discendente d’una famiglia di palazzinari rossi che regalò al Pci la sua storica sede di via delle Botteghe oscure e ora si batte perché l’imprenditoria piccola e media possa dire la sua e la capitale torni a essere faro di civiltà. Difficile possa essere lui ad avvitare le lampadine.

Sandro Medici, candidato della Repubblica romana – storico e sfortunato nome col quale la sinistra alternativa tenta di ridare un senso a sé stessa e una speranza ai povericristi – si dice già col dito sull’interruttore, ma sa bene che i giochi sono e si faranno altrove. Fare spazio al nuovo, meno parrucconi e più scapigliati è la parola d’ordine del già presidente al X municipio che ha riempito la sua piazza di pochi ma belli: a partire da Valerio Mastandrea e da quell’Elio Germano che vede bene, e noi con lui, alla guida dell’assessorato alla Cultura capitolino. Sulle sue deboli spalle l’onore e l’onere di raccogliere i resti di un sogno che fu.

Chiudiamo con Marcello De Vito, altro beltipo che non ha reputato utile degnarci di risposta. Ma, si sa, per i grillini i giornalisti sono carta straccia, come quella su cui scrivono. Sui loro 21 punti per Roma capitale il tema appare al ventesimo posto, benché sul programma dell’avvocato “specializzato in appalti” sia al secondo posto, ancorché con un linguaggio così fumoso da far rimpiangere i ciclostilati anni Settanta, e un novello senatore torinese, dal palco dello Tsunami tour a piazza del Popolo, dichiara come senza cultura non vi sia futuro possibile. Ma i grillini, si sa, vanno oltre, sono qui ma pensano altrove: per loro la campagna romana non è che una tappa della battaglia che si combatterà in autunno, con il ritorno alle urne. Il capocomico Grillo l’ha detto chiaro e tondo, ai suoi assiepati sulla piazza – questa sì, colma a confronto delle altre – ad acclamarlo come novello salvapatria. Per loro, come e più che per altri, al di là delle parole al vento e spesso a vuoto, contano i fondamentali, e la cultura non è fra questi. Ché con la cultura si mangia, forse, ma non tutti ne mangiano. Anche se sono uomini e donne di cultura.