Una vignetta di Massimo Bucchi, noto vignettista di Repubblica, recita: “Non eravamo vicini al baratro, disse il baratro”. La boutade è più vera del vero, in campo sociale quanto artistico e, a sottolinearla, un articolo di Dario Pappalardo oggi sul quotidiano: Musei in default. Questo l’incipit: «Budget al minimo, visitatori in calo, mostre a risparmio, biglietti in saldo, direttori cercasi. Per i musei italiani d’arte contemporanea questo è l’anno della verità. Sono lontani i tempi di inaugurazioni fastose e finanziamenti a pioggia. Sembra un secolo e invece erano i primi anni Duemila quando aprirono il Mart a Rovereto, il Mambo a Bologna, il Macro a Roma, il Man a Nuoro. Nel 2005 si spalancavano le porte del Madre di Napoli con un progetto start up della regione Campania da 100 milioni di euro. Altrettanti e di più ce ne son voluti per far partire, nel 2010, il Maxxi a Roma. Oggi sarebbe fantascienza. Al luccichio dei vernissage è subentrato il bianco e nero delle bollette».
Luccichii a parte – mai venuti meno ai vernissage, ragion d’essere della presenza del pubblico alle mostre, giornalisti compresi – è ben difficile non essere d’accordo con la tirata di Pappalardo. La ventina di musei del contemporaneo l’anno scorso, pur in tempi di crisi conclamata, hanno raccolto 37 milioni di euro, nonostante una sforbiciata superiore al 10 per cento delle risorse: una bella cifra in termini assoluti, ma a dare il senso in termini relativi basti dire che il solo centro Pompidou per il 2012 ne ha incassati più del doppio dallo stato. Eppure, a fronte dei peana generalizzati c’è chi vorrebbe tagliare del tutto le magre (si fa per dire) risorse disponibili, cassando la mano pubblica. Intanto, chi può s’arrabatta come può. Al Rivoli, in attesa di un nuovo direttore, il presidente Giovanni Minoli ha avuto mandato esplorativo triennale per portare a dama la superfondazione con Gam e Artissima di cui si parla da anni. Che l’unione faccia la forza l’hanno capito pure a Bologna, dove Gianfranco Maraniello, direttore del Mambo, lo è pure dei 13 musei comunali uniti nell’istituzione Bologna musei, con un risparmio – assicurano dal comune – del 20% del bilancio.
Se a Bologna tirano la cinghia, a Rovereto, dove alligna un gioiello come il Mart e a breve dovrebbe riaprire la Galleria civica di Trento, accorpata ad esso, non sono da meno, visto che si è passati dai 5 milioni di euro versati dalla ricca provincia autonoma, ai 500mila attesi per l’anno a venire. Dimezzate le risorse al Macro di Roma (dove si attende l’entrata a regime della nuova fondazione per la raccolta fondi) e al Maxxi, dove si aspetta la nomina del nuovo direttore tra tagli e polemiche suscitate dalla gestione di Giovanna Melandri – mentre il fundraising tra i privati pare abbia portato nelle casse del Museo del XXI secolo un milione di euro, finora – di tagli non si può non parlare al Madre di Napoli. Dove da dicembre Eduardo Cicelyn ha passato la mano ad Andrea Viliani e si sono dimezzati 6 milioni antecrisi di contributi regionali, ma alla fondazione Donnaregina stanno pensando alla valorizzazione della (non molto nutrita, in verità) collezione permanente, come pure alla parola d’ordine di questo 2013: crowdfunding. Una parolina magica pronunciata pure da Bartolomeo Pietromarchi (nella foto) per finanziare la mostra Vice versa, il suo padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia. Che la raccolta di risorse dal basso sia l’ultima porta a cui bussare prima di rischiare di chiudere bottega l’avevamo capito pure noi di Inside Art, col nostro progetto Art I care.
Tagli, sinergie, flessibilità, collette. Ecco gli ingredienti della ricetta anticrisi, l’ancora di salvezza in attesa di ripartire, per il giornalista di Repubblica e non solo. E una sforbiciata alle mostre che, con la valorizzazione delle collezioni museali permanenti, si rivela sempre più necessaria: alla fondazione Venezia hanno calcolato che in Italia si viaggia su una media di seimila l’anno, con un vernissage ogni tre quarti d’ora. Decisamente troppi, in tempi di crisi.