Daniel Libeskind e la memoria

Un grande architetto specializzato in costruzioni museali avveniristiche e una cornice di estrema classicità che racchiude tutti gli stilemi dell’arte italiana come quella di palazzo Barberini a Roma. Il binomio suggestivo tra modernità e mondo antico ha caratterizzato l’incontro capitolino che ha visto protagonista Daniel Libeskind, architetto polacco (nato nel 1946) naturalizzato statunitense, giunto a Roma per partecipare all’incontro voluto da Massimiliano Finazzer Flory e inserito nella rassegna, targata Lottomatica, Il gioco serio dell’arte. Una folla, attenta ed eterogenea, ha ascoltato la lezione sopra le righe di Libeskind che ha illustrato la sua poetica architettonica attraverso la declinazione di una serie di tematiche, ciascuna legata a una singola parola e associata a un suo progetto specifico. Una conversazione divisa per capitoli, quindi, introdotta da un Finazzer Flory estremamente a suo agio calato nella parte dell’istrione che ha recitato, per introdurre il suo celebre ospite, un brano di J. L. Borges dedicato alla memoria, tema dell’incontro in rapporto alla capacità dell’architettura di edificare per non dimenticare. «L’obiettivo di Libeskind – dichiara l’ex assessore alla Cultura del comune di Milano – è emozionare attraverso un’architettura che mette insieme il materiale con l’immateriale, il visibile con l’invisibile. La sua ossessione felice nei confronti della memoria non è mai autoreferenziale». La parola passa allora all’architetto, dal viso tondo con immancabile occhiale dalla montatura nera, che attraverso l’utilizzo di disegni e rendering commenta i suoi ambiziosi progetti sparsi per il mondo. «La madre di tutte le arti è la memoria e l’architettura, in quanto arte, non può certo esimersi dalla sua celebrazione», sentenzia sornione Libeskind.

Il suo controverso progetto sul museo ebraico di Berlino è associato alla parola spirito perché «nell’idearlo ho voluto creare uno spazio che non fosse solo museale ma anche spirituale, la storia è una lotta continua affinché racconti più o meno la nostra verità». E la frase suona ancora più convincente se a pronunciarla è il figlio di due sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, che ha passato l’infanzia in Polonia prima di trasferirsi in Israele e successivamente, in pianta stabile, negli Stati Uniti. La luce ha guidato l’ideazione del museo di Toronto, «una grande fonte d’ispirazione che ha dato vita a una struttura influenzata dalla forma e dalle proprietà dei cristalli». Il dialogo tra natura e cultura ha accompagnato la costruzione della torre residenziale One Madison di New York, mentre il trauma è la parola chiave per descrivere gli orrori della guerra immortalati nel museo di storia militare di Dresda. Il patrimonio è alla base dell’edificio City life, attualmente in costruzione a Milano e che dovrebbe anche comprendere un nuovo museo di arte contemporanea, per il quale l’architetto è stato ispirato «dalla storia e dai luoghi della città, in particolare dall’influenza che il genio di Leonardo ha avuto sul territorio». L’atipica lezione si chiude con l’illustrazione del progetto della ricostruzione di Ground Zero, che dovrebbe concludersi intorno al 2013, legato alla delicata tematica della rinascita. «Non ho voluto mettere nulla al centro dell’edificio centrale – dichiara l’architetto – proprio per sottolineare l’importanza delle fondamenta che vanno tenute a vista come monito e incentivo a ricordare il passato». Libeskind ha progettato un quartiere ricco di particolari dove svetta, in mezzo a tutto, la Freedom tower, il grattacielo alto 1776 piedi, numero simbolico che ricorda l’anno della dichiarazione d’indipendenza americana. Quello con Daniel Libeskind è stato il secondo appuntamento della nuova edizione della rassegna, in programma fino ad aprile con un altro paio di eventi in via di definizione, che si svolge alla Galleria nazionale di arte antica di palazzo Barberini, incontro che ha confermato il successo del precedente colloquio tra Finazzer Flory e il ballerino Roberto Bolle.

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