Burri, Opera al nero

Alberto Burri. Opera al nero. Cellotex 1972-1992 è la nuova mostra della galleria dello Scudo, Verona. Un’esposizione incentrata su un aspetto particolare dell’impegno dell’artista: la declinazione del nero nei Cellotex. Il titolo “opera al nero” è volutamente ripreso dal capolavoro letterario di Marguerite Yourcenar, dove è esplicito il riferimento agli antichi trattati alchemici, in cui si illustra il procedimento di separazione e dissoluzione della materia nelle sue varie componenti formative.

Il concetto di “nigredo” o “nerezza”, non disgiunta da rimandi alla Melancholia Idi Dürer, allude alla scomposizione di un corpo attraverso l’azione disgregante del fuoco, e al successivo processo di riaggregazione. Mentre il cellotex, che l’artista in precedenza ha impiegato come supporto per altre composizioni, ora si trasforma nel protagonista assoluto. Burri ha sempre reso la materia elemento indispensabile nelle sue opere, caricandola di forti valori espressivi alla ricerca di significati nascosti attraverso mezzi espressivi iconografici come scacchi, legni, plastiche combuste. Ora la mostra evidenzia sfaccettature dell’artista talvolta non sottolineate negli anni attraverso una selezione di 30 opere realizzate nell’arco di un ventennio, fra il 1972 e il 1992, suddivise in sei sezioni. In primis nero dove è evidente un tocco scarno nella strutturazione dello spazio, con la linea dell’orizzonte alta, ondulata o quattro dei sedici elementi che formano la serie monotex del 1986, esposta per la prima volta l’anno dopo nella grande mostra all’università degli studi di Roma la Sapienza.

Troviamo anche la serie assegai rappresentata da nero A n. 1 e nero A n. 4. Toccando la sintesi estrema, la pittura azzera la varietà e la cura del dettaglio, ma si evolve essa stessa assolutezza formale e cromatica. Assegai è un termine che rimanda all’Africa dove Burri è ufficiale medico negli anni della guerra. «In assenza di specifiche informazioni a cui coniugarlo nell’intenzione poetica assegnatagli da Burri – scrive il curatore della mostra Bruno Corà – reca quale unico riferimento quello dell’arma diffusa nel paleolitico, dal manico corto e la lama in pietra, osso o corno, simile a una lancia ma di dimensioni ridotte». La quinta sezione abbraccia quadri realizzati durante i suoi soggiorni nella casa-studio a Los Angeles. Chiude il percorso l’intera serie dei mixoblack del 1990, dieci lavori ottenuti mediante un particolare processo calcografico, la mixografia, che permette la realizzazione di carte a rilievo grazie a matrici in polvere di sabbia e marmo su cellotex.

fino al 31 marzo

Galleria dello Scudo, via Scudo di Francia, 2 Verona

info: www.galleriadelloscudo.com