Intervista a Marika Carniti Bollea

Un attico su villa Ada, terrazzi che si aprono come giardini segreti e un interno che in sé ha mille dimore. «La mia casa la vivo come contenitore di segni – dice Marika Carniti Bollea – è una costruzione che ha un impianto architettonico anni Settanta estremamente funzionale che ho riempito di ricordi. È divertente pensare che chi si occupa di bellezza si circonda di oggetti senza senso. Mi sento una timida scolaretta dei miei sogni. Sin da piccola ho ricercato un equilibrio tra intelligenza emotiva e contesto relazionale, scoprendo la strada della fuga visionaria nel disegno e nei colori». Tra queste mura si muove l’artista come la protagonista di uno spettacolo sempre in scena e sempre diverso. Creativa eclettica, dedita alla progettazione d’interni, al design, alla scenografia e agli abiti di scena, non la si potrebbe immaginare in un «appartamento del burraco: un’abitazione – come spiega la Bollea – con il balconcino, il comprensorio, le luci con il palloncino sopra messe sul prato: tutte perfette, tutte uguali». La sua arte è come la sua vita: mai scontata, sempre presa nelle contraddizioni e vissuta nella possibilità. «Ho un’idea e la reputo possibile. Le cose difficili hanno sempre una soluzione mentre per quelle impossibili qualcosa accadrà». Un’esistenza vissuta all’insegna di un estremismo spirituale, dove idee e fantasia prevalgono su un pragmatismo sterile. Non progetta semplici interni, ma fa scenografie nell’abitare: «un mobile realizzato per un ambiente, non c’entra nulla in un altro contesto. L’oggetto copiato, e per questo non contestualizzato, è volgarizzato. Nelle mie case ci deve sempre essere uno scenario immaginifico e surreale altrimenti non mi viene nulla di bello, anche nelle case classiche come la casa del Bramante». L’ospite accolto si sente così attore di una creazione che potrebbe avvenire in qualsiasi istante.

Tra le mure della casa dei ricordi, le cui immagini saranno proiettate insieme, tra le altre, a quelle delle abitazioni Fascino discreto della borghesia, Omaggio a Mirò e la Casa dei gabbiani, si pregusta il fascino di quella che sarà la mostra evento, Realismo magico in scena e nell’abitare, in programma dal 6 settembre al 7 ottobre al complesso del Vittoriano. «Realismo magico: dove ogni luce ha la sua ombra, ogni ombra la sua luce e dove s’intravede il mistero dello scopo ultimo della vita, incomprensibile e segreto». Nelle stanze vivono alcune delle opere che saranno presentate e non le si potrebbe pensare se non uscite dalla creatività di chi del sogno e dell’arte fa l’essenza del vivere. Una serie di sedie, realizzate in nylon e gommapiuma, con un positivo e un negativo: è l’opera l’Aliena. «Scendendo sulla terra prendendo le forme femminili non poteva evitare di andare dentro e contro la sua deriva, la sua realtà. Nessuno le ha detto: per stare meglio, stai con le persone che non hai mai incontrato». L’Aliena è l’artista dalla cui mente non escono mai puri oggetti, ma simboli delle storie che le hanno generate. Autodidatta, capace di far compenetrare cinema, arte e vita quotidiana, Marika Carniti Bollea definisce il minimalismo imperante: «un razio non apparecchiato che dura da 10 anni. Tutto quello che è il Bauhaus preso e non apparecchiato; prendi i mobili degli anni ’30 – ’40 e sopra non ci metti niente. Questo è avvenuto perché, a parte pochi esempi come Philip Stark e soprattutto Rol Arand, che io stimo e seguo da quando è ragazzo, non ci sono più idee. O se le idee ci sono le eseguono male».

«Scopo della mia arte – continua la Bollea – è riportare i grandi artisti fuori dal quadro, camminare con loro». La Penelope del Carrà è fatta vivere, nel viaggio artistico della Bollea, in due sculture. Assistiamo a due opere: una Penelope pura e perfetta prima e una Penelope day after deturpata dopo aver vissuto: senza chioma e senza colori, ma comunque dritta e sicura. La mostra Realismo magico in scena e nell’abitare, non è solo un elogio al percorso artistico di Marika Carniti Bollea, ma è un mezzo per riportare in auge il ruolo fondamentale degli artigiani di cui la Bollea da sempre va dichiarando l’enorme valore. «Artigiani, questi poeti del fare interpreti del movimento musicale tra mente e abile mano, tra macchina strumento e il pensiero che la conduce. Un tempo c’erano i mobili di famiglia che passavano di generazione in generazione: oggi questo non c’è più – continua l’artista – e allora perché non tornare agli artigiani? Molti dicono che andare dall’artigiano costa molto, ma non è vero. Non costerà mai più di quello che si spende andando a comprare in un negozio di design blasonato per poi possedere un divano perfettamente identico ad un altro».

Strehler diceva: «Carniti Bollea ha inventato il teatro nella casa e ha saputo giocare con l’infanzia dell’arte e con la propria cultura visiva, mantenendosi sempre però sotto le righe. Ella accondiscende, infatti, a una visibilità professionale, affidata soltanto alla gioia della realizzazione del suo mondo fantastico». E il teatro lo si riesce a immaginare nella dimora dove la Bollea ha deciso di continuare il suo lavoro di ricerca e creazione: una villa rosa che si erge sopra il parco di Veio circondata da alberi e in cui si è accolti da un bosco. Il Giardino dei ciliegi di ?echov sembra aver trovato il suo spazio contemporaneo.

fino al 7 ottobre

Complesso del Vittoriano, piazza Venezia, Roma

info: www.marikacarnitibollea.it