Da box a box(e), dove la «e» fa la differenza. Un voluto gioco semantico, traspone dalla box, metafora della galleria, intesa come contenitore di opere, alla boxe, vera e propria disciplina sportiva, sulla quale sei artisti internazionali – Sebastian Diaz Morales, Ben Grasso, David Rathman, Denis Rouvre, Wainer Vaccari e Li Wei – sono stati invitati a riflettere. Una collettiva, dunque, quella proposta dalla galleria Jerome Zodo Contemporary a cura di Gabriele Tinti, che a un anno esatto dall’apertura dell’attività si propone di esplorare e condividere il mondo del pugilato, esibito al margine dell’espressione artistica.
Dal percorso espositivo sorgono spontanei interrogativi circa le potenzialità del corpo umano e i limiti imposti dalle leggi della fisica. La scuola americana di combattimento con il bastone “Dog brothers”, sostiene che «più duro è il contatto più profonda è la consapevolezza», una chiave di lettura ben adattabile alla vita stessa, dove in ogni attimo si è esposti a pericoli che possono alterare definitivamente il fisico e la mente, «essere gettato nel mondo vuol dire rischiare a ogni istante di incontrare qualcosa che può decomporre i tuoi rapporti», dice Gilles Deleuze nella sua opera dedicata ai limiti corporei.
Il pugilato è sintesi estrema della vita, desiderio massimo di sopravvivenza. Nella boxe convergono creatività, astrazione, simbolismo della danza, concretezza, emozione, passione, tutte componenti necessarie per la gestione vittoriosa di un conflitto. Ogni artista coinvolto ha dato il suo contributo soffermandosi su queste ed altre componenti; le foto di Li Wei, per esempio, sono servite a creare una realtà ambigua tra potenza e debolezza dell’umano. Denis Rouvre si è soffermato sui lottatori senegalesi mentre Ben Grasso, pittore statunitense, ha reso omaggio a quella che è stata una delle sue passioni adolescenziali: la serie pittorica sulla boxe di George Bellows. David Rathman ha parlato del match leggendario tra Muhammad Alì e George Foreman, dove “un uomo si era battuto per una certa Idea di libertà” (Alexis Philonenkpo). Sebastian Diaz Morales entra nel mondo della boxe evitando di rappresentarne la forza narrativa e sposta invece l’interesse sull’impatto complesso, profondo, esistenziale, che la rappresentazione della violenza ogni volta ha sullo spettatore. Wainer Vaccari, infine, da tempo ofre agli eroi della boxe, ai loro corpi così come ai loro volti, lo spazio di rappresentazione ideale, nella convinzione che il combattimento davvero sia da considerare come una delle belle arti. Non facile il ruolo di questi artisti, dove, ciascuno con il proprio medium espressivo, ha tentato di dare una spiegazione, quantomeno formale, alla complessità dei pugni, alla strategia della forza, del ritmo, e, naturalmente, del dolore incassato cui segue l’inevitabile rallentamento del gesto, sino alla definitiva caduta a terra. In uno spazio sacro, dove ci si trova nudi l’uno di fonte all’altro, faccia a faccia, occhi negli occhi, ciascuno privato di un simbolico accappatoio, dove le certezze sono beni remoti, si innesca l’esplosività di una nuova conoscenza, il brivido dell’ignoto. Campioni o vinti?
All’inaugurazione si è tenuta una vera esibizione di pugilato, durante la quale si sono fronteggiati due dei migliori pugili del momento in Italia, Carel Sandon e Antonio Moscatiello. A bordo ring hanno presenziato quattro dei più importanti campioni del mondo di tutti i tempi: Sumbu Kalambay, Nino Benvenuti, Rocky Mattioli e il campione del mondo di questi ultimi anni, Giacobbe Fragomeni.
Fino al 12 marzo
Jerome Zodo Contemporary
via Lambro 7, Milano
Info: 0220241935; www.jerome-zodo.com