«Quattro a zero per il governo». Questo il commento del Guardasigilli Angelino Alfano dopo il voto di mercoledì 26 gennaio sulla mozione di sfiducia al ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi. Manco fosse una finale di coppa. Un passaggio parlamentare, quello sul coordinatore del Pdl, che doveva essere fondamentale. Soprattutto per chi contava di sfruttarne il risultato per disarcionare il governo. Alla fine, fra rinvii e spostamenti le opposizioni, che hanno comunque votato compatte sono apparse assai più sfilacciate di qualche settimana fa. Mentre Silvio Berlusconi e la sua compagine hanno guadato l’ennesimo fossato senza (quasi) incontrare ostacoli. Ma ritrovandosi, come in un vizioso gioco dell’oca, al punto di partenza.
La maggioranza alla Camera dei deputati è infatti inesorabilmente bloccata a quota 314, la stessa della tragicomica fiducia di dicembre e sempre sotto la soglia matematica dei 316 deputati. Quella che, invece di tirare a campare, consente almeno di governicchiare alla Prodi. Non un voto in più, a parte l’astensione dei due Svp Siegfried Brugger e Karl Zelller guadagnata da Bondi per una questione di monumenti altoatesini, in particolare su quello alla Vittoria di Bolzano eretto nel Ventennio e che ai sudtirolesi sta sul groppone da settant’anni. L’allargamento sul quale il presidente del Consiglio aveva riposto buona parte del suo ottimismo per il prosieguo della legislatura sembra infatti un buco nell’acqua. Tuttavia, il capo del governo ha potuto tirare un sospiro di sollievo per quei 22 consensi di vantaggio sul gruppone Pd, Idv e Terzo polo, dettati in gran parte dalle assenze sui banchi delle opposizioni. Quattro finani risultavano infatti non pervenuti, l’unica giustificata era la neomamma Giulia Bongiorno. Dal gruppo misto e Terzo polo ne mancavano altri tre (compreso Guzzanti) e nel Pd quattro ammalati. Se si aggiungono i tre dell’Udc (fra i quali Pezzotta) e il caos scoppiato in casa Lombardo (dai cinque del suo gruppo arriva una sola sfiducia, nonostante il blitz del presidente siciliano). Se ai 292 voti favorevoli alla sfiducia si fossero aggiunti questi 18 persi per strada, forse la giornata avrebbe preso una piega diversa. Ma nella politica i voti contano prima e, soprattutto, durante. Dopo, il pallottoliere va azzerato e lubrificato per le sfide successive.
Bondi, che si dice avesse già la lettera di dimissioni pronta nel cassetto del suo ufficio, non ha tuttavia perso tempo per contrattaccare a tutto campo, rivolgendosi soprattutto a Fini e Casini: «Sono persone politicamente e umanamente assai modeste». Il coordinatore del Pdl, che forse già si vedeva a completa disposizione del partito senza la palla al piede del baraccone Mibac, alle prese con sempre meno quattrini da spendere e sempre più grattacapi da sciogliere, ha dovuto dunque fare dietrofront. Evitando così, con la fiducia incassata a Montecitorio, di aprire un ulteriore fronte di battaglia in casa Berlusconi, già occupata a dovere.
Dallo snodo parlamentare, tuttavia, rimane escluso l’autentico stato della cultura in Italia. Come sempre accade in occasione delle battaglie d’aula, la realtà quotidiana rischia di sbiadirsi dietro ai conti dei politici di professione. Un fronte, anche dal voto, appare comunque aperto: la necessità di una guida che s’impegni a sbarazzarsi delle oscurità che hanno puntellato l’ultimo biennio del ministero. Un panorama che riguarda i soldi (il taglio al Fus, che si spera venga riportato sopra 400 milioni di euro dagli attuali 258, la deducibilità fiscale per chi investe in cultura e le agevolazioni per il settore cinematografico alcuni fra i punti caldi) ma anche e soprattutto le strategie per il futuro. Il 2010 è stato uno stillicidio di crolli e smottamenti: da quelli di Pompei alla Domus aurea di Roma, passando per Gela e il suo portale quattrocentesco. L’Italia delle rovine – quel parco tematico dal vivo che attrae milioni di turisti – sta venendo giù fra crolli e zero manutenzione. E, dai sassi agli uffici, ci mancava il caso degli incarichi e delle consulenze elargite ad amici e parenti, come il lavoro al figlio della compagna di Bondi, Fabrizio Indaco. «Nessuno ha commesso alcun illecito», ha più volte ripetuto il ministro. Il punto è che forse l’arte e la creatività italiana, la cultura e le migliaia di lavoratori del settore e dell’indotto, i musei e i siti che accendono ogni giorno il motore d’intere regioni nostrane, meriterebbero qualcosa di più che uno slalom fra discolpe e smentite.