«Ah che rebus!, ah che rebus!», canta il jazzman astigiano Paolo Conte nel brano “Rebus”, datato 1979. Trentuno anni dopo una collettiva nelle stanze di palazzo Poli, a Roma, pone a confronto l’arte e il rebus dal Cinquecento a oggi, in un rimando incessante fra ludico ed espressione artistica.
Curata da Antonella Sbrilli e Ada De Pirro, con la consulenza di Stefano Bartezzaghi, “Ah che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia” (allestita fino all’8 marzo) si apre con l’accostamento di due dipinti, il Ritratto di Lucina Brembate (1518) di Lorenzo Lotto e Personaggio in grigio (1944) di Osvaldo Licini. In entrambe le opere la luna è unita a delle lettere nel suggerimento di un nome (Lucina) o di una serie di parole potenziali, originando uno scambio fra visibile e leggibile. Ma che cos’è, esattamente un rebus? Si va dal piccolo enigma da decifrare a un passatempo, fino al disegno che nasconde una frase; basti pensare all’incidenza che le vignette della Settimana enigmistica realizzate da Maria Ghezzi (detta Brighella) hanno esercitato sulla pittura italiana degli anni Sessanta e Settanta, in particolare sulle opere di Tano Festa e Renato Mambor.
Ma attraverso il rebus, nel corso degli anni, l’uomo ha veicolato anche messaggi di matrice politica, satirica e storica, diffondendoli su fogli volanti, riviste, libri e dipinti. Spunti che la collettiva romana pone in risalto, così come l’esposizione – e qui si tratta di un esordio – del grande drappo con un lungo rebus dedicato a Pio IX per l’amnistia concessa nel 1846. E ancora, il rebus quale spunto di poesie, come quelle del poeta e scrittore genovese Edoardo Sanguineti, scomparso pochi mesi fa, interpretate in alcune opere grafiche presenti in rassegna.