Quest’ultima in camicia garibaldina al tavolo dei relatori, fianco a Beppe Vacca e Alfredo Reichlin, presidenti delle rispettive fondazioni (Gramsci e Cespe) da cui è uscito il po’ po’ di roba in mostra fino al 6 febbraio – giorno conclusivo dell’expo’ con il concerto diretto dall’omonimo nipote di Gramsci. Un po’ defilato, sullo stesso tavolo, Paolo Peluffo, in rappresentanza del comitato per i 150 anni dell’unità che con gli enti locali (comune e provincia) ha messo i soldini per l’iniziativa che vuole raccontare, come dice il titolo, il peso e il ruolo dei comunisti italiani che hanno permeato, con le loro vicende, una buona metà della storia nazionale. Tra gli assenti, invece, Walter Veltroni e Pierluigi Bersani, forse perché loro il comunismo l’hanno rinnegato da tempo, prima ancora di dirsi comunisti e darsi al neoliberismo.
Che altro? La falce e martello rossofuoco al centro dell’ovale, con le date “clou” del settantennio comunista nei 150 anni dell’unità italiana, come l’Internazionale posposta alle note di Fratelli d’Italia, sono più che metafora della salvaguardia dei valori nazionali del partito già filosovietico. E, al piano alto, non può a fronte dell’oggi non strappare un sorriso di mesta dolcezza la frase di Fernando Pessoa usata da un giovane grafico per illustrare la storia del Pci: una sola moltitudine. Come non può non strapparne un altro la battuta di Altan messa in bocca a Cipputi, sull’altro lato dell’emiciclo: “E l’umore come va, Cippa? Né buono né cattivo, sono alla ricerca di un terzo umore”. Che, come il Terzo polo, pare una chimera come la storia del sogno infranto celebrato stamane dai suoi stessi necrofori.
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di Camilla Mozzetti