Nel caramboloso carosello dell’arte contemporanea può accadere molto, tutto. Persino di più. Pure che a un giovane e ingegnoso videoartista, dal breve ma già premiato curriculum, capiti di dimenticare accesa la videocamera poggiata su un tavolo della propria stanza, e uscirsene per i fatti suoi. Accade così che l’oggetto in questione filmi, accanto a uno scorcio di finestra e una presumibile cappa a muro, l’alternarsi inesorabile dei minuti e delle ore, le variazioni di luce e d’umore cromatico della suddetta stanza. Poesia pura. Passate le ventiquattr’ore, il nostro rientra, s’accorge del fatto e, ohibò, a questo punto le scuole di pensiero si dividono. C’è chi dice che il giovanotto abbia inviato per sbaglio la cassetta registrata, scambiandola con un’altra che era in una busta lì accanto, con l’opera destinata al concorso, e chi invece sostiene che, ispirato dal caso, abbia deciso liperlì di spedire al concorso il registrato, con un titolo ad hoc: Superficiale-under my skin. Forse ispirato, per la prima parte, dalla sua stessa disattenzione, e per la seconda da un long playing di Avril Lavigne di qualche anno fa. Fatto è, e questo è un fatto, che il nostro non solo supera indenne il fuoco di sbarramento della giuria, il più nutrito e qualificato gruppo di critici contemporanei, ma giunge primo. Mettendo tutti all’angolo, concorrenti e giurati, pure il fato, e noi con esso. Giovane, bravo e fortunoso: Giovanni Ozzòla. Sulla nostra pelle.