Inaugura alla galleria Massimo Minini di Brescia, la mostra dell’artista italo-francese Paul Thorel Al pari di un profilo che, per la seconda volta dall’apertura dello spazio espositivo, perpetua la collaborazione tra arte visiva e scrittura già intrapresa con Anish Kapoor e Tiziano Scarpa. Alle foto di Thorel, infatti, si intrecciano le parole di Aldo Nove, autore del testo in catalogo sui suoi scatti. Ritratti che, scrive Nove, «mi hanno ricordato le immagini televisive, ma in una loro condizione del tutto particolare: la loro imminenza, la loro presenza nel non ancora. Ritratti che stanno per essere. O sono stati». Secondo Aldo Nove, «come nelle immagini televisive che non sono ancora (o che sono state, è lo stesso), Thorel ci ricorda l’elemento della pacificata non fissità del ritratto. Il suo scorrere. Il suo assestarsi. Il suo non eludere l’enigma di cosa sia visto, mentre lo si vede e dopo».
Guido Costa, che accompagna con le sue parole il percorso espositivo, definisce i ritratti di Thorel momenti di «meditazione che penso lo aiuti a relazionarsi all’altro da sé, esercitando una disciplina su sé stesso». E ancora, «l’incrocio di due prospettive, quella teorica e quella pratica, avvicina i ritratti di Thorel più alla pittura che alla fotografia tradizionale, di regola meno sottoposta a manipolazioni così profonde e complesse, permettendogli un’elaborazione dell’immagine analoga per certi versi a quella operata con il pennello, con tanto di sovrapposizioni, velature e pentimenti». Tra pittura e fotografia è soprattutto il tema della IV Biennale internazionale di fotografia di Brescia, promossa dal Museo Ken Damy in collaborazione con diverse gallerie della città lombarda, tra cui la Minini, parallelamente alla quale è stata pensata la mostra di Thorel. Con due Biennali di fotografia di Torino alle spalle e diverse rassegne collettive e personali, Paul Thorel è uno dei più interessanti artisti della scena contemporanea.
Nato nel 1956 a Londra, ma di nazionalità italo-francese, parte dalla pittura – nel 1970 studia da Carla Accardi a Roma – per approdare alla creazione di immagini elettroniche nel 1979 a Parigi. Negli anni successivi, alterna al lavoro di artista progetti per il cinema, il teatro e la pubblicità. Dal 1981 si occupa di trattamento digitale dell’immagine fotografica. «In quei fasci di linee, in quelle ondulazioni, in quei rapporti di pieno e vuoto – sottolinea emblematicamente Guido Costa – c’è per intero il soggetto, mai però suggerito simbolicamente, o trasformato in metafora: c’è realmente, così come potrebbe esserci in un tradizionalissimo ritratto fotografico, eppure pittoricamente sublimato e concentrato in un sol punto. E nel percorso che conduce a quel punto, e soltanto a quello, si riassume l’intero imperativo etico che l’ha portato a decidersi per un punto di vista piuttosto che un altro».
Fino al 2 ottobre
Info: www.galleriaminini.it