Si dice che nell’arte venga riversata la forza erotica dell’artista. Del resto il filone sessuale è un terreno che è già stato battuto abbondantemente in passato, e che continua ad essere un “evergreen”, seppur ampiamente rivisitato in un modo che avrebbe fatto impallidire Renoir e le sue pudiche bagnanti, o Fontana e i suoi simbolici tagli su tela. Parliamo di sesso violentemente visivo, ostentato, esagerato. Parliamo di capezzoli in primo piano, di lingue e labbra conturbanti, di vagine che si aprono voluttuose allo spettatore. Se non sapete come chiamarla, chiamatela "porn art", l’arte che nulla lascia all’immaginazione.
Pop porn, lavoro che ha preso il nome dall’omonima collettiva presentata recentemente allo Shangò di Roma, racchiude tutto questo. E Francesco D’Alonzo (www.francescodalonzo.com), autore e giovane fotografo romano formatosi allo Ied, parlando della concezione artistica della sessualità spinta, considera «l’erotismo, i corpi, la carne, la donna, la passione come una delle cose più grandi che possano esistere a livello concettuale».
E se le labbra rappresentate – ben cinque tipi – possono scandalizzare il perbenismo dei più, che puntano il dito incitando allo scandalo, l’artista si diverte e se ne compiace, perché la provocazione è uno degli intenti, tanto quanto quello di spezzare certi tabù ancora radicati nella nostra cultura. Oggi, insomma, si crea con l’underground, lo sporco e l’anticonvenzionale. Del resto lo stesso Andy Warhol, a cui l’opera strizza palesemente l’occhio, aveva già ampiamente attinto al porno, tanto in Torso quanto – soprattutto – nella poco nota serie "Sex parts", dove vengono messi in bella vista falli maschili e scene di sesso gay, ricavate da polaroid scattate durante festini orgiastici, ingrandite e dipinte.
Pop porn è un lavoro intenzionalmente proiettato verso l’esagerazione: «Ho creato un’opera elegante, dritta, geometrica, ma con un contenuto tendenzialmente volgare, porno. È una provocazione a livello contenutistico e stilistico. Ho volutamente esagerato con i colori, le dimensioni e le immagini». Lo stampo pop, reso in tal modo, sembra banalizzare la mercificazione sessuale dei giorni nostri, da cui siamo assuefatti e, tuttavia, ancora scandalizzati. Qui l’artista cerca di sgomitare in mezzo al consumismo, emergendo grazie alla manipolazione e alla spersonalizzazione di oggetti proibiti, dando al pubblico quello che vuole vedere. In breve, cambia il significante, ma non il significato: è porno, ma è ben fatta, quindi non è poi così tanto porno. I particolari femminili sono decontestualizzati, quasi ornamentali.
Si dice che l’arte sia fine a se stessa e che la pornografia non possa esserlo perché assolve una funzione ben precisa. In questo caso Francesco D’Alonzo ci dimostra che le vagine, i capezzoli e le lingue di queste cinque modelle, staccate dal loro corpo, non sono così erotiche e non hanno alcuno scopo, se non quello di rendere la composizione piena, ridondante, equilibrata ed elegante. In poche parole: artistica e, indubbiamente, un po’ porno.