Di Fabio in Camere da sogno

Il significato ultimo dell’arte contemporanea è frequentemente considerato immateriale, pressoché irraggiungibile e inaccessibile quanto mondi lontani. Se a tale significato si aggiunge un altrettanto aulico significante, ne deriva un’arte che abbia sul piano formale un’autentica e originale aura platonica. Nella sua ultima personale Camere del sogno, Alberto Di Fabio ci conduce con la biga alata nell’iperuranio dai colori placidi e sognanti, talvolta preziosi come le sue colature oro, segni flebili come montagne senza materia o come suoni di echi dispersi: i mastodontici wall-painting, ideali prolungamenti gli uni degli altri, si stagliano maestosi e indisturbati invadendo per intero le pareti della galleria Umberto Di Marino fino al 10 maggio, catturando sulle pareti il colore come fosse un agglomerato gassoso e rarefatto.

Il colore è fresco, immateriale, evanescente, il tocco del dripping è fragile bellezza, intimo dialogo con una dimensione ultraterrena. Secondo Di Fabio il compito dell’uomo è quello di elevarsi, liberare la mente oltre le montagne o aggrapparsi a esse, seppur sempre con lo sguardo rivolto verso il cielo, nell’infinito e reiterato tentativo di prescindere dalla vita terrena. «Osserviamo paesaggi montani e alpini e sogniamo di innalzarci, in una costante elevazione e permutazione delle nostre sinapsi» dichiara l’artista, con delicate tonalità celestiali egli affresca l’allegoria del cosmo, immagina mondi migliori, possibili o impossibili: «ho sognato di aver attraversato i buchi neri dell’universo e il bosone di Higgs, ho immaginato di aprire una porta spazio-temporale che colleghi la Terra al cosmo tutto. Se nell’antica Grecia Democrito aveva percepito la presenza dell’antimateria, quella su cui lavorano gli studiosi del Cern, noi oggi, con il consumismo che è parte integrante della società, siamo tornati a essere ominidi aggressivi, attaccati alla terra, al territorio: spero quindi che le persone riescano davvero a innalzarsi, creando un cinetismo sensoriale. Einstein voleva descrivere Dio in formula scientifica: ogni formula importante è sempre velata, non si arriva quindi a essa solo con la parte razionale del nostro cervello, c’è bisogno anche del sogno, di quella parte del corpo che è spirito, sogno onirico».

Diversamente dal velo di Maya l’alone onirico di Di Fabio non nasconde ma già parla dell’oltre, mostrando le sue venature come agglomerati di nuovi atomi, particelle di nuovi corpi e di altre storie, gli spazi bianchi e vuoti di una galleria divengono così luoghi meditativi nei quali liberare la mente e incamerare i sogni, attraverso un’analisi e un racconto intersecato tra realtà trasognata e onirico futuro.

Fino al 10 maggio; galleria Umberto Di Marino, Via Alabardieri 1, Napoli; info: www.galleriaumbertodimarino.com

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