Parla Fabrizio Russo

Roma

«Una città da 17 milioni di abitanti, con un mercato dell’arte effervescente, dal gusto raffinato ed esteticamente prudente. Questa è Istanbul» parola di Fabrizio Russo, direttore della galleria Russo, che stasera proprio nella città considerata la porta d’Oriente inaugura una nuova sede. È la prima galleria italiana a puntare sulla metropoli turca. Per questo stasera sarà organizzato un grande evento per celebrare l’opening, un appuntamento che chiamerà a raccolta il gotha del mondo artistico e intellettuale della città.

Fabrizio Russo, perché proprio Istanbul? «È una città con un grande fermento culturale, in cui sono presenti importanti collezionisti internazionali appassionati d’arte e sensibili a un linguaggio artistico coerente con quello portato avanti da sempre dalla nostra galleria, in cui la visione concettuale e quella estetica sono perfettamente equilibrate. Niente provocazioni, niente contaminazioni ultracontemporanee. Non mi convincono queste tendenze che declinano in modo troppo audace il concetto di bellezza. Il valore del messaggio in un’opera non deve offuscare quello della forma. Un quadro deve essere fruibile, esponibile anche negli interni di una casa, questo non va dimenticato. Istanbul sotto questo aspetto ci ha accolto con entusiasmo. Questa è la nostra filosofia, che da 120 anni convince i nostri affezionati clienti».

Questo spiega anche le vostre ultime scelte tecnologiche, come l’applicazione per cellulari pensata per fornire una proiezione reale della posa delle opere in casa propria. «Esattamente. L’applicazione, scaricabile dall’Apple store, si chiama galleria Russo, e permette di vedere virtualmente la posa di un’opera nello spazio in cui si vuole collocarla. Il dispositivo sta avendo molto successo e ha contribuito a far lievitare il numero di accessi al nostro sito web: circa 4mila al mese, non male per una galleria privata».

Torniamo a Istanbul. Com’è lo spazio della nuova sede? «È molto grande, nel cuore della città, nella zona di Beyoglu, il quartiere più vivace e cosmopolita. Lo spazio espositivo è articolato su due piani, per un’estensione totale di circa 180 metri quadri. Poi ci sono gli uffici, un deposito, una foresteria e una terrazza molto suggestiva con vista sul Bosforo. Non solo. A distanza di circa 500 metri dalla galleria abbiamo anche una pertinenza che abbiamo allestito come un eventuale atelier per i nostri artisti che vogliano lavorare in loco».

Quali artisti saranno in mostra nella serata di inaugurazione? «Porteremo quelli che da anni la sede romana espone già con enorme successo: dalle coloratissime e imponenti biblioteche di Massimo Giannoni alle vedute metropolitane di Tommaso Ottieri, dalle grandi tele di Manuel Felisi alle creazioni originali di Enrico Benetta, dai ritratti di Roberta Coni alle eleganti geometrie di Roberto Foreani, dai plastici nudi di Paolo Troilo. E poi avremo un grande ospite, un amico storico della nostra galleria: Angelo Bucarelli, artista molto radicato in Turchia».

Come differenzierete la programmazione di Roma e quella di Istanbul? «Roma continuerà a proporre arte del Novecento e a presidiare la scena contemporanea italiana. A Istanbul iniziamo invece con i nostri giovani. Fino a febbraio esponiamo Massimo Giannoni, poi non appena avremo preso contatto con il territorio vedremo se riusciremo a portare in galleria artisti locali interessanti, seri, che rispondano ai nostri canoni professionali».

La situazione fiscale della capitale turca vi ha incoraggiato a muovere questo passo? «Sicuramente il sistema fiscale turco è più morbido: le tasse sono più basse e questo aiuta chiunque decida di intraprendere un cammino coraggioso come il nostro».

Avete fatto una scelta molto audace, in un momento in cui molte gallerie stanno chiudendo e altre si stanno reinventando. «È un periodo molto particolare e complesso del mondo dell’arte, specialmente in Italia. Vi sono elementi che hanno creato una sorta di tempesta perfetta. Innanzitutto negli ultimi anni è cambiata la cultura fiscale di questo paese: si è sviluppata una caccia alle streghe nei confronti degli acquirenti d’arte. A questo si aggiunga l’effetto di un’esagerata evasione fiscale di molte gallerie troppo ”disinvolte”. Meglio puntare sulla trasparenza: assicura una crescita più lenta ma solida. E poi c’è stata la crisi delle istituzioni pubbliche, che prima acquistavano molto di più. Non solo. In Italia molti spazi hanno accusato gli effetti del trading privato: concorrenti occulti nascosti nelle figure di vari intellettuali, sedicenti critici, esperti, mecenati, onlus, che fanno da intermediari tra artista e acquirente. Questa abitudine ha danneggiato molto le gallerie, anche perché spesso questi personaggi avevano sinergie con istituzioni pubbliche».

Sta seguendo a Roma la vicenda del museo Macro? Un riferimento museale autorevole in una città come Roma potrebbe fare da supporto a molte gallerie. Lei che idea si è fatto? «Il Macro non deve rinunciare alla sua vocazione di museo comunale di arte contemporanea. Ben vengano le grandi mostre internazionali, ma mi auguro che il futuro direttore una volta all’anno si convinca a fare il giro delle gallerie di Roma per vedere cosa succede nel panorama artistico della città e proponga, talvolta, un’ampia prospettiva sullo scenario romano. Questo aiuterebbe molto, purché, chiaramente, non sia fatto nell’ottica di privilegiare le amicizie».

A Roma in molti non la pensano come lei. Preferirebbero un Macro a dimensione internazionale. «Non sono d’accordo. Mi auguro che il museo non sacrifichi la sua funzione di leva per la città e spero che il bando per la selezione del direttore faccia emergere un nome che abbia la conoscenza del territorio».

Quindi un italiano. Meglio ancora se romano. «Sono dell’avviso che per un museo comunale sia meglio un nome locale. Ci sono professionisti seri che avrebbero tutte le carte in regola per farlo con grande autorevolezza».

Dopo Istanbul avete in cantiere altri progetti di espansione? «Per il momento no. Anche se non nascondo di avere ricevuto un invito molto allettante ad aprire un nuovo spazio in un altro paese del Medio Oriente. Per ora non dico altro, anche perché si tratta di un progetto, che, se vedrà la luce, si potrebbe concretizzare non prima del 2016».

A Roma invece avete appena chiuso la mostra del giovane Manuel Felisi. Il prossimo artista ad approdare in galleria sarà il celebre Carlo Levi. Come reagiscono i vostri clienti a questa alternanza? «Molto bene, perché la lettura non cambia mai, è sempre la stessa, in continuità con la tradizione. I nuovi linguaggi, invece, cancellano in maniera drastica il pregresso, non portano da nessuna parte. Invece, a mio modo di vedere, bisogna avere il coraggio di confrontarsi con chi ci ha preceduti. Lo ripeto, trovo poco comprensibili alcune tendenze dell’arte ultracontemporanea. Mi sforzo di capire. A ogni Biennale, ad esempio, sono solito organizzare a Venezia degli ampi dibattiti in casa mia con critici, collezionisti, intellettuali, artisti e storici dell’arte proprio per indagare sui nuovi linguaggi. Spero sempre di trovare qualcosa che mi intrighi, ma fino a oggi non ci sono riuscito».

Info: www.galleriarusso.it