Afro Basaldella è pop

L’importanza di Afro si vede a piazza Navona. Sul serio. Prendete tutti i pittori della domenica che invadono la piazza, togliete i simil Monet, le vedute di Venezia (che poi perché Venezia?), le tele soft porno, i girasoli, e rimangono solo le tele astratte che sono più di quanto pensiate. Rimangono, a dirla tutta, quei classici lavori osservati e commentati da gente che vuole darsi un tono, da persone che loro sì, capiscono l’arte astratta. Queste tele che risultano così affascinanti a un occhio approssimativamente istruito sono in realtà dei rifacimenti (più o meno espliciti, più o meno consapevoli) all’opera di Afro. È proprio sulla presunta o reale inconsapevolezza che il maestro si rivela un artista importante. Se un pittore di piazza Navona ti dipinge significa due cose: uno, sei morto; due, vendi, vendi tanto, almeno abbastanza da giustificare il tempo perso e i soldi spesi nei materiali per costruire la tela e il suo probabile guadagno. E se vendi tanto vuol dire che piaci anche a occhi approssimativamente istruiti, questo è indice del fatto che la tua arte rappresenta un gusto medio, significa che la tua poetica e il tuo stile non sono rimasti nell’olimpo delle Grande Arte come esempi sterili e virtuosi fini a se stessi, ma sono diventati contemporanei e adesso (dopo sessant’anni) posso essere attaccati su una parete di una casa anche se questa non è abitata da critici artistici. Quando questo accade, e non accade spesso, possiamo considerare defunta l’avanguardia: che vi piaccia o no Afro è pop, è poppissimo.

A Roma al museo Carlo Bilotti c’è una mostra del pittore che celebra i cento anni della sua nascita. L’esposizione è particolare perché permette all’osservatore di considerare l’opera come un lavoro vivo, non definitivo ma costruito nel tempo a colpi di ripensamenti e forti modifiche. Lungo il percorso, infatti, si alternano opere e schizzi preparatori delle stesse che testimoniano l’evoluzione del pensiero di Afro di fronte a quei lavori. L’esposizione sembra una risposta a tutti quelli che dicono (o non dicono ma lo pensano) lo so fare anche io di fronte a una tela del pittore. Gli schizzi preparatori infatti sono il vero lavoro dell’artista, nelle carte vediamo le sue idee prendere forma, materializzarsi, cambiare o evolvere fino ad arrivare a un risultato accettabile. Da lì si comincia a realizzare l’opera vera e propria. Sconvolgente è infatti la somiglianza degli schizzi all’originale su tela. Tutto è calcolato e ogni linea è già presente nel cartone, ogni assenza è già segnata e a Afro non rimane che riportare tutto in versione definitiva.

Gli anni Cinquanta sono i più rappresentati nella mostra e seguono la svolta astratta del pittore che dopo un periodo dedicato al realismo approda nel dopo guerra sulle spiagge della pura forma. Post cubismo, così vengono definite le sue prime prove astratte dove le linee risentono ancora lo spezzato del movimento di Braque e Picasso. È proprio negli anni Cinquanta che Afro comincia a staccarsi dall’avanguardia storica ed elabora uno stile personale. La frammentarietà cubista viene letteralmente sfumata, le linee perdono i loro contorni decisi e tutto si fa più nebuloso e compatto. Ma grazie a un’attenta composizione, spesso definita in forza di levare, le opere di Afro sono leggere e sembrano galleggiare fra le sale della mostra più che essere attaccate alle pareti. Riconosciuto come grande maestro prima negli Stati Uniti e poi da noi, le sue opere hanno chiare influenze d’oltre oceano, dall’espressionismo astratto di Gorky fino a Kline, passando per l’action painting di Pollock per arrivare a prendere tutta la poesia del lirismo di Rothko o Newman. E se vi state chiedendo perché un nostro pittore è stato apprezzato prima negli Stati Uniti e poi da noi è giusto che sappiate che a fine mostra vi sottoporranno un test di gradimento chiedendovi se le sale dell’esposizione erano pulite.

fino al 6 gennaio

Museo Carlo Bilotti, via Fiorello la guardia 6, roma

info: www.museocarlobilotti.it