I ain’t superstitious di Francesca Romana Pinzari

Francesca Romana Pinzari si esprime con la pittura, il video, la scultura, l’installazione, la performance e ha lo studio in via Arimondi 3 a Roma, stabile dove lavorano altri undici artisti. Al secondo piano si trovano gli studi di Mauro Di Silvestre, Marco Colazzo, Caterina Silva, Alessandra Amici, Veronica Botticelli, Seboo Migone e della stessa Pinzari, creativi che sono stati presentati lo scorso maggio da Achille Bonito Oliva con una mostra all’interno dello stabile e con un catalogo. Francesca Romana ha poi partecipato questo autunno alla mostra Catarifrangenze alla Pelanda di Roma a cura degli studenti del Luiss Master of art all’interno del progetto a cura di Bonito Oliva. La sua formazione avviene all’accademia di Belle arti nella capitale dove segue i corsi di pittura con indirizzo figurativo, nasce quindi come pittrice per poi abbracciare gli altri linguaggi che utilizza. La sua ispirazione parte da una base di conoscenza della storia dell’arte, ad esempio, per alcune creazioni, guarda a Emilio Isgrò, su ciò Pinzari commenta: «bisogna cercare di avere un lavoro proprio che comunque è frutto di tutto ciò che abbiamo studiato e assimilato, è inevitabile. Nelle mie opere parlo del concetto di individuo: di come siamo, di come ci siamo formati attraverso i nostri studi, di quella che è la nostra famiglia, la nostra estrazione sociale, la nostra cultura religiosa e politica; poi abbiamo tutto il diritto di evolverci, però è importante conoscere le proprie origini». Questo indagare gli aspetti più fondanti della personalità la porta ad ammirare Sophie Calle, dichiara: «Sophie Calle mi piace per come riesce a trattare le sue esperienze personali rendendole di dominio pubblico in modo che le persone possano immedesimarsi in un suo lavoro. Si concentra su esperienze che chiunque di noi può aver avuto o sognato di avere, vorrebbe avere o non vorrebbe mai, perché alcune sono drammatiche». Presentiamo qui il video di Francesca Romana Pinzari I ain’t superstitious, tradotto in italiano Non sono superstiziosa. È stato girato nel 2009 in occasione della manifestazione Arte moderna e contemporanea nelle dimore storiche, in cui privati aprivano le loro dimore storiche al pubblico e alcuni ospitavano un artista, in questo caso il luogo era una chiesa privata nel borgo alle Torri di Bagnara vicino Perugia. Il video è stato realizzato appositamente a porte chiuse alcuni giorni dopo la performance che invece si è svolta in pubblico. Ritrae Pinzari vestita da sposa che entra in chiesa e cammina su degli specchi distruggendoli. Non è solo un lavoro sulla superstizione – infrangere gli specchi, vestirsi da sposa non essendo sposata, sono tutti gesti che secondo la cultura popolare portano sfortuna -, ma vuole anche riflettere sulla tradizione italiana in senso ampio nel riferimento ad un rituale consueto. C’è una dose di ironia che proviene dall’intimità dell’artista stessa proprio nello sforzarsi a compiere quegli atti, e nel riferimento al titolo di una canzone ironica di Muddy Waters sull’argomento della superstizione. Gli addobbi della chiesa, il bouquet e parte del vestito sono composti da carta di giornale per due ragioni: «La prima era la volontà di dare una sorta di addio alla mia vecchia produzione che stavo abbandonando: prima di quel periodo dipingevo su carta di giornale. Poi volevo rendere tutto ancora più effimero, per questo utilizzo la carta da macero: sono una sposa finta, è un rito che faccio da sola e che non porta a niente, non c’è nessuno ad aspettarmi all’altare, non c’è nessuno che mi accompagni», dice l’artista. La musica, di Daniele Pozzovio, è stata realizzata apposta per I ain’t superstitus e evoca un coro sacro. La produzione video di Pinzari si sta dirigendo sempre più verso un linguaggio propriamente cinematografico. È il caso di Urban devotion, del 2011, in cui l’artista cammina per le vie vicino a largo Preneste con delle rose che sono destinate al rito di devozione verso un’icona sacra in zona, ma durante il tragitto dona queste rose ai passanti o le lascia in luoghi di degrado: quindi quella che doveva essere una forma di devozione a un’icona sacra, diventa una forma di devozione al territorio urbano e ai suoi abitanti.

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