Fatima, la newsletter che parla del mondo visto con gli occhi del mondo dell’arte contemporanea, sarà ospite di Inside Art per i prossimi mesi. Potete iscrivervi qui alla newsletter per riceverla anche in posta e seguire Fatima su Instagram. Intanto sotto, l’ultima uscita.
Ciao,
sono Fatima, non sono la Madonna ma faccio miracoli lo stesso; tipo ieri, andavo per campi, ho visto due pellegrini: chiedevano arte contemporanea. Giorni dopo avevano in posta questa newsletter.
Forse non ve ne siete mai accorti, o forse sì e avete taciuto. Dietro le vostre spalle, e dietro le spalle delle persone che beccate online in questa vita mezza pandemica, si nasconde un caposaldo della storia dell’arte.
Centrale, a due, a tre punti, assonometrica, intuitiva, aerea, sferica: stavolta la tocchiamo piano. Parliamo di prospettiva, che Dio ci perdoni l’arroganza.

Pippo/ tal sopra sasso, sasso/ di giro in giro eternamente io strvssi/ che così passo passo/ alto girando a’ l ciel mi ricondvssi
Questo è un epitaffio, uno dei tre per essere precisi, di Filippo Brunelleschi, l’uomo che cambiò la storia dell’arte, per gli amici evidentemente Pippo. Poi dici la Firenze del Quattrocento. A riportalo è il Vasari nelle Vite che con il suo campanilismo sfrenato ci regala anche un ritratto dell’architetto, ecco, come dire, divino.
Filippo di Ser Brunellesco, sparutissimo de la persona, ma di ingegno tanto elevato, che si può dire che e’ ci fu donato dal cielo per dar nuova forma alla architettura.
Io poi, sinceramente, non capisco perché quando tutto va male, quando mi cadete in depre e la noia vi distrugge non mi leggete Vasari che ha sempre una buona parola per tutti. Tipo: Giorgio, ma com’era l’architettura prima di Pippo?
gl’uomini di quel tempo in mala parte molti tesori avevano spesi facendo fabriche senza ordine, con mal modo, con tristo disegno, con stranissime invenzioni, con disgraziatissima grazia e con peggior ornamento.
Grazie Giorgio, grazie, delicatissimo. Barbero: tu e il tuo medioevo prendete ‘sti spicci e portate a casa.
CERCO UN CENTRO DI GRAVITÀ
Comunque. Non sto qui a ricordare come è con Ser Brunellesco che comincia un ragionamento sulla rappresentazione spaziale; quello che voglio dire è che da lui fondiamo un modo di pensare lo spazio che è ancora il nostro, anzi, dal quale non c’è verso che riusciamo a uscire. Secoli di pippe mentali hanno messo su una baracca inattaccabile, così persuasiva che si riproduce identica dalla Città ideale a Twitch (sugli sfondi personalizzabili dei social e non solo); ne potremmo parlare per giorni.
E il buon vecchio Panofsky direbbe: «Chiaro fratellì, perché non è un modo di rappresentare lo spazio ma un modo di pensare il mondo». Andiamo per gradi, ci arriviamo, forse.

Diciamo che il pezzo che cambia la storia è il feat. Masaccio-Brunelleschi dall’altisonante nome: Trinità. Siamo nel 1427 e salutiamo la mano leggera di Giotto che viene coperta da un sistema matematico in grado di proporre una rappresentazione spaziale scientifica. Tutto diventa misurabile: paraste, esseri umani e Dio; tutto deve essere definito e posizionato a partire da un punto, da un punto preciso raccordo di ogni linea, da un punto chiamato poeticamente punto di fuga. È nata qui, per rimanere nei secoli, la prospettiva centrale.

Panico. L’ho sempre immaginata così: una corsa di tutti gli artisti a cercare di capire che stava succedendo, come diavolo avevano fatto quei due a tirar fuori una roba del genere, l’ansia di recuperare, altrimenti addio commissioni e bottega chiusa. E allora i primi manuali, a partire dal De pictura firmato dal gigante Leon Battista Alberti.
E poi i primi fondamentalisti, ossessionati dal punto di fuga disposti a tutto pur di far quadrare tutto, menti che con difficoltà riuscivano prima ancora di disegnare anche solo immaginare una linea curva. E fra questi il capo, lui, l’uomo che se curva deve essere che sia opera di compasso: Piero della Francesca.
Solo per capirci riporto un passo del suo testo più noto dedicato tutto alla, come la chiama lui, commesuratio: De prospectiva pingendi
togli la riga E de legno e polla contingente 13 e 23 de le do rige et, dove combascia 13, segna 13, dove combascia 23, puncta 23; tira la riga sopra 12 e 15 e 21 de le do rige, dove combascia 12, poni 12, do’ combascia 15, fa’ 15, do’ combascia 21, segna 21; mena la riga contingente 11, 18 e 25 de le do rige, dove combascia 11, puncta 11, do’ combascia 18, mecti 18, do’ combascia 25, fa’ 25; duci la riga contingente 17 e 19 de le do rige, dove combascia 17, segna 17, dove combascia 19, scrivi 19.
Buoni due terzi del libro sono così, giuro; a volte compaiono anche le lettere, però ha messo pure i disegni. Non è un caso che il libro sia considerato il primo manuale di disegno tecnico del mondo.

IL PARADOSSO DEL CICLOPE
E niente, più o meno indisturbato e incredibilmente accresciuto e radicato, questo sistema prospettico arriva fino alla metà dell’Ottocento quando la prospettiva comincia a rivelarsi per quello che è: una gigantesca paruccata. Tutto cominciava a puzzare di artificiale, distante dal vero che in vero non è prospettico. Manet è fra i primi a far saltare i paletti, poi la storia la conosciamo tutti e in un attimo siamo arrivati all’arte astratta. Ma quello che fa di questa storia un romanzo è che proprio quando il castello di carte della prospettiva stava crollando, un’altra tecnica la riportava fedelmente e senza tanti sforzi: la fotografia. Secoli di manuali buttati nel cesso. E allora ecco la questione fondamentale: se una macchina fotografica, e quindi non un essere umano ma appunto una macchina, con un procedimento meccanico ecco, riporta esattamente i principi della prospettiva allora la prospettiva esiste veramente, la prospettiva è IL modo, l’unico, di rappresentare il mondo. La prospettiva è la verità.
Eccoci, adesso è il momento di Erwin. In neanche 60 pagine, con altrettante e più pagine di note, Panofsky con quel capolavoro di libro La prospettiva come forma simbolica, scavalca i secoli, ti spacca la capoccia che tu quando lo chiudi credi che la tua vita è stata tutta un errore di visualizzazione. Prima di tutto smonta la prospettiva in due punti definendola “un’arida costruzione della realtà”. Mai cinque parole sono state così violente. Vado a braccio:
- La prospettiva rappresenterebbe la realtà se fossimo tutti dei ciclopi con un occhio solo sul quale costruire quel mitico punto di fuga
- Tutto il rappresentato nella raffigurazione dovrebbe essere una resa adeguata della nostra immagine visiva.
Ovvero, detto in altre parole: un solo occhio e anche immobile. E poi ancora: tutti quei punti hanno un senso solo fra di loro, solo perché sono in collegamento fra di loro, retti da un sistema che però in nessuno di quei punti può fondarsi perché non sono autonomamente significanti. Cioè: pura, assoluta, totale, astrazione dalla realtà.
Ed ecco la botta di genio. Erwin non dice «vabbè regà ci siamo sbagliati, pace»; no Erwin è più cattivo, dice la prospettiva non rappresenta la realtà è vero, ma rappresenta comunque una realtà, anzi ne costruisce proprio un’altra nella quale ci siamo tutti convinti di vivere, che è diventata il nostro modo di vedere la stessa realtà che nel frattempo chissà dove diavolo è finita. E qui applausi, fischi ma anche mancamenti, svenimenti.
Proviamo invece un attimo a seguire il discorso di Panofsky. La prospettiva costruisce un’altra realtà. Bene. Una realtà fondata su un sistema aritmetico rigidissimo e onnicomprensivo. Nel senso: qualunque cosa viene messa dentro la rappresentazione prospettica deve adeguarsi alle leggi della prospettiva. Qualunque: case, colonne, cani, draghi, santi, divinità ed esseri umani, tutti sono obbligati a diventare numeri. Ora, non serve Adorno per capire che essere trattato al pari di una trabeazione è quanto mai offensivo per un essere umano (o addirittura avere la stessa considerazione di creature mitologiche mai esistite tipo Apollo). Cioè, questo sistema funziona solo come dittatura, tutto è assoggettato alla riuscita dell’ambiente prospettico che, come una divinità, è l’unico che ne esce pulito. Ad aggravare la situazione c’è il non trascurabile fatto che questo sistema non è reale e ci è imposto ovunque, e tanto più risulta trasparente tanto più rischia di diventare pericoloso.

Fotografia, cinema, televisione, videogiochi, anche il passaggio tra una story e l’altra di Instagram riproduce una classica prospettiva a due punti. Ma anche i nostri begli ambienti virtuali dove dentro ci facciamo le nostre belle mostre online sono impostati sul principio della prospettiva rinascimentale. E ovviamente anche Skype, zoom e compagnia bella.
PROSPETTIVA, FANATICI E NEGAZIONISTI
Ora vediamo i vari tipi incontrati in questa vita virtuale e prospettica.
Gli iconoclasti, fra i più scafati. Camera in posizione ortogonale e soggetto seduto di fronte a un muro piatto, nessun punto di fuga, nessuna linea convergente solo uno sfondo di ispirazione bizantina: in luogo dell’oro un meno nobile stucco.

Gli sdraiati: seduti spesso sul divano con il computer poggiato sul tavolo basso e lo schermo leggermente inclinato all’indietro per vedere meglio. Dietro di loro, sopra il sofà, c’è spesso un quadro che spezza con il divano. L’ambiente definisce un punto di fuga altissimo che costruisce piramidi affilate: tutto sembra schizzare verso il soffitto a una velocità futurista. Dietro il soggetto scorre un enorme tapis roulant.
Gli archivisti: camera non perfettamente centrale e dietro il soggetto la bellissima e stracolma libreria a muro. Il punto di fuga a destra o a sinistra studiato per aumentare la grandezza della collezione, movimenta la scena e mette il fuoco sui primi libri lasciando scemare gli altri verso un magma di colori indefinito. A volte ci sono anche i vinili.
E poi i fuori quota: con il cellulare si inquadrano dal basso e i delicatissimi soffitti in legno fanno convergere le loro linee dietro il soggetto che sembra lanciato verso l’iperspazio; ci sono quelli che invece preferiscono l’angolo che se vivo automaticamente disegna un doppio punto di fuga destra sinistra e libera il soggetto dall’architettura.
Ma i migliori di tutti sono i decadenti: camera lurida, insudiciata da dita piene di lipidi incremate capaci di ingrassare pesantemente l’obiettivo. Non li sottovalutate: sono i più esperti. Nulla infatti è definito, tutto è confuso e sognante, impossibile separare anche il soggetto dallo sfondo. Prospettiva sconfitta dietro un muro di blur.
Sono proprio loro gli eredi di una tradizione anticonformista, ribelle contro il dettame della prospettiva. Eretici che invero hanno una lunga e gloriosa storia che partendo dall’autoritratto con specchio curvo del Parmigianino e passando per la presa in giro di palazzo Spada di Borromini, arrivano fino alla totale negazione della prospettiva operata dall’impressionismo in poi.

Ma non solo dipinti e architetture, anche la fotografia nel Novecento rifiuta l’organizzazione spaziale rinascimentale e allora giù con deformazioni, errori di parallasse e soprattutto con stampe a contatto che negano ogni profondità aritmetica, vedere le Verifiche di Mulas per credere.

Il contemporaneo da una parte si riallaccia a questo filone eretico. George Rousse e Felice Varini per esempio continuano la tradizione delle anamorfosi creando ambienti che trovano un senso solo guardati da un unico punto di osservazione nel quale tutte le linee convergono, appena lo sguardo si sposta salta tutto il sistema; e un discorso simile vale per i film anamorfici di William Kentridge.

Ma dall’altra parte mantiene in vita il punto di fuga in ambienti incerti e virtuali come succede in Federica Di Pietrantonio; oppure sfuma la prospettiva nei videogiochi con convergenze dinamiche molto vicine a quelle orientali, quando cioè un unico punto di fuga era impossibile: l’illustrazione infatti era contenuta in un rotolo e solo una parte per volta poteva essere visionata (lo spiegano bene qui). Chiaro che integra e solida l’idea rinascimentale di spazio regna sovrana ovunque: forse un caso per tutti sono i titoli di testa di Star Wars.

Potremmo parlarne ancora per ore ed ore a partire da cosa ne pensavano i greci e i romani della profondità spaziale fino ai tagli di Fontana o Giulio Paolini o gli ambienti di Turrel o le stanze infinite di Kusama, ma il tempo è tiranno. Voi mi potete comunque scrivere e io nel mentre vi lascio alla vostra vita fatta di aride apparenze prospettiche.