La fine del sogno europeo

Maastricht

WHAT HAS LEFT SINCE WE LEFT (Italy, The Netherlands, 2020). Short Film Single Channel – 20′. Produced by: Careof (I) | Kingswood Films (NL). With the support of: Italian Council | Limburg Film Fonds. Photo by Joris Hilterman. Production still.

È uscito per la casa editrice olandese Onomatopee What has left since we left, libro a cura di Giulio Squillacciotti che insieme ad alcuni densi contributi (Ayşe Zarakol, Marwan Moujaes, Federico Lodoli, Marina Lalovic, Erica Petrillo, Enrico De Gasperis) correlati allo script dell’omonimo film opera ultima di Squillacciotti, racconta per intero il progetto dell’artista che l’anno scorso ha vinto il Talent Prize.

Scritto con Daan Milius e Huib Haye van der Werf, il film è in attesa di fare la sua prima comparsa nei festival, mentre il libro è già acquistabile (https:// www.onomatopee.net/exhibition/what-has-left-since-we-left/). Squillacciotti delinea un ritratto allegorico, personificato e quasi umano di un’Europa immaginata alla fine dei suoi giorni. Tre esponenti superstiti si riuniscono nella sala del trattato di Maastricht dove tutto ha avuto origine per decretare la fine del sogno europeo. Nasce un dialogo personale a tre voci mediato dalla figura chiave di un’interprete britannica che tutto si direbbe meno che neutrale. I tre diventano alter ego di un unico protagonista e la riunione formale si trasforma in una seduta psico-analitica o semplicemente nel ritratto visivo di una situazione mentale fuori controllo. «Il progetto è nato in Olanda ed è durato un anno e mezzo – racconta Squillacciotti –. In seguito ho pensato di realizzare un libro che non fosse una speculazione fittizia ma che nascesse dalla commissione di alcuni saggi. Cinque saggi scritti da cinque persone provenienti da discipline completamente diverse: una politologa turca, una giornalista serba, un libanese poeta-artista, un filosofo nietzschiano».

WHAT HAS LEFT SINCE WE LEFT (Italy, The Netherlands, 2020). Short Film Single Channel – 20′. Produced by: Careof (I) | Kingswood Films (NL). With the support of: Italian Council | Limburg Film Fonds. Photo by Joris Hilterman. Production still.

Ho letto nella Prefazione di What has left since we left che mentre tornavi in Italia causa Covid-19, hai ritrovato lo stesso isolamento che volevi rendere nel film. Isolamento ed Europa evocano inevitabilmente la situazione attuale. Mi piacerebbe che mi parlassi di questo casuale parallelismo.
«È stato un caso fortuito. Il film è stato scritto molto prima che scoppiasse il Covid. Era abbastanza emblematico però che quel luogo, la sala di Maastricht, in cui ero stato più volte, si trovasse dimesso, con le luci spente, isolato. Ho pensato subito alla sinossi del film, ho pensato l’isolamento quasi in termini manicomiali. Tre politici fittizi collocati in un contesto ideale futuro ma inevitabilmente prossimo. In un luogo emblematico per il passato dell’Europa e altrettanto per la sua fine. I tre discutono dentro la sala astrattamente, completamente isolati dall’esterno al pari della traduttrice nella sua cabina di traduzione. L’isolamento non è inteso politicamente, volevo un distacco dalla realtà e isolarli in una sorta di iperuranio di pensieri inconcludenti. Un loop decisionale infinito.Volevo rendere l’idea di un futuro nato sulle rovine, così come quello dell’Europa. Siamo adagiati su queste rovine aspettando qualcosa che non accadrà mai».

WHAT HAS LEFT SINCE WE LEFT (Italy, The Netherlands, 2020). Short Film Single Channel – 20′. Produced by: Careof (I) | Kingswood Films (NL). With the support of: Italian Council | Limburg Film Fonds. Photo by Joris Hilterman

Il rapporto tra architettura e personaggi quanta importanza ha avuto? Si evince molto dalle inquadrature del film. Qual è stato il tuo approccio con l’architettura relazionata alla psicologia dei personaggi?
«Nel mio lavoro credo si possa rintracciare una linea contestuale agli spazi, siano essi fittizi, immaginati o reali. Così come è accaduto nel progetto sul manicomio di Collegno. Si tratta di costruire spazi che possono essere simbolici, speculativi, mistificazioni di spazi reali o semplicemente immaginazioni di conversazioni possibili in luoghi che hanno avuto o che hanno un valore reale. La sala di Maastricht si prestava alla perfezione. In questo caso ho studiato la cromia degli ambienti per restituirla negli abiti dei personaggi su quelle stesse scale cromatiche. C’è stata una personificazione della stanza, i personaggi diventavano parte dello spazio stesso. Come se il protagonista fosse la stanza, come se la testimonianza fosse raccontata dalla stanza stessa. La costruzione estetica dello spazio, poi, è stata maniacale».

Nel tuo film immagini la fine dell’Europa attraverso un dramma familiare e intimo a tre voci. È un desiderio immaginato dettato dal dibattito attuale o qualcosa che secondo te si è già realizzato?
«Mi interessava soprattutto confrontarmi con l’immaginazione e non con la cronaca dei fatti, non in termini giornalistici o politici spiccioli. Non voglio essere un cronista del presente. Il mio approccio è storico nel senso che sento il bisogno di valutare qualcosa solo quando è già accaduto.Volevo procedere per allegorie applicando un filtro ad alcune questioni attuali ma non per renderle comprensibili o spiegarle. Non mi interessava analizzare delle possibili cause di fine dell’Europa ma capire alcuni meccanismi umani, mi interessava più ”il come” che ”il che cosa”. Lo spettatore deve trovare la sua lettura, io non voglio fornire nessuna parola chiave».

Il confronto con la situazione attuale è molto diretto. Credo ci sia un doppio binario su cui viaggia questo film: uno simbolico e uno reale, un sottofondo storico ad un racconto immaginifico.
«Sì, non a caso alcune battute dello script sono prese idealmente da alcune dinamiche gestionali della Brexit. La mia volontà vera però è stata costruire delle dinamiche umane di possibili relazioni».

WHAT HAS LEFT SINCE WE LEFT (Italy, The Netherlands, 2020). Short Film Single Channel – 20′. Produced by: Careof (I) | Kingswood Films (NL). With the support of: Italian Council | Limburg Film Fonds. Photo by Joris Hilterman. Production still.

Nel film c’è un personaggio chiave, l’interprete-analista britannica. Ce ne parli?
«La figura dell’interprete è un filtro. Ho sempre pensato simbolicamente alla distanza che si crea tra chi parla e chi interpreta. Storicamente si è sempre speculato sull’identità della traduzione, penso ad esempio al caso Eichmann e al Processo di Norimberga – non a caso Hannah Arendt ha sottolineato proprio l’ambiguità della traduzione in quell’occasione –. Il traduttore è un creatore. Ho voluto mettere al centro questo ruolo e immaginare che la sua funzione fosse quella di mediare analizzando, immaginando una dinamica dialettica tra la sala e la cabina di traduzione. Un traduttore non neutro che traducesse con sentimento e perlopiù di nazionalità britannica, per spiegare il suo disappunto rispetto all’uscita da un gruppo di amici – la Brexit –. Nel film usa la sua lingua domandandosi quanto questa sia effettivamente neutrale. Quanto allora il ruolo stesso dell’interprete può esserlo? Si crea un gioco di incomprensioni linguistiche e fraintendimenti dialettici tra il traduttore e i personaggi fino a quando l’interprete rompe il muro della traduzione e inizia a rivolgersi direttamente a ciascuno di loro, sostituendo la traduzione all’analisi».

Sull’attrice protagonista hai detto: «Volevo che fosse evidente che fosse la stessa tanto quanto volevo che fosse chiaro che lo stesso volto incarnava tre identità diverse». Ci spieghi meglio?
«Doveva essere chiaro che si trattasse della stessa persona e ho scelto di non palesare la diversità dei tre personaggi con trucco estremo o props per restituire l’idea di una pièce teatrale, il contesto era d’altronde già mastodontico, la scenografia era tale che ho preferito puntare sulla riduzione invece che sull’aggiunta di elementi. C’è stato un gran lavoro con l’attrice, riflettevamo continuamente sul tentativo dei tre personaggi di costruire una relazione che fosse umana. Volevo evidenziare l’incorporazione di una triplice identità, come fosse una seduta psicoanalitica o semplicemente un luogo manicomiale in cui una donna sente nella sua testa delle voci che sono suoi alter ego».

WHAT HAS LEFT SINCE WE LEFT (Italy, The Netherlands, 2020). Publication on Onomatopee Eindhoven. Designed by Studio Temp. Produced by Careof Milan in partnership with Jan Van Eyck Academie Maastricht. Realized with the support of: Italian Council (6th Edition) and Fondazione Cariplo