Le Scuderie del Quirinale riaprono ufficialmente gli spazi espositivi il 2 giugno e finalmente sarà possibile visitare la grande mostra dedicata a Raffaello, iniziata poco prima che iniziasse il lockdown. Uno degli aspetti più particolari della mostra (forse la più attesa dell’anno) è il percorso espositivo ”a ritroso”, dalla morte alla nascita del genio del Rinascimento, che mira ad avere l’ampiezza della prodigiosa attività di Raffaello a Roma alla fine della carriera, così da porre un focus sulla sua morte. Tra le ipotesi delle cause che lo portarono alla morte a soli 37 anni, ce n’è una (per alcuni improbabile) tramandata dal Vasari, che ha anche particolarmente interessato gli ultimi anni della carriera artistica di Pablo Picasso.
Raffaello è morto a Roma, ancora giovane, il 6 aprile del 1520, lo stesso giorno della sua data di nascita. Una morte che presto è stata caricata di valenze simbolico-religiose e letterarie. Se possiamo considerare eccezionali le opere dell’Urbinate, altrettanto unici furono gli eventi che caratterizzarono la sua morte e la sua sepoltura. Morì probabilmente a causa di un’infezione polmonare, dopo una febbre acuta e continua. Per lungo tempo, la sifilide fu ritenuta la causa del suo stato di malattia, sotto la tradizione di un uomo ricordato dai cronisti del tempo ”ghiotto di piaceri carnali”. Ma non era lui l’unico focoso amante della Fornarina? E poi, com’è stato possibile che la sifilide, malattia sfiancante, gli avesse permesso di dedicarsi ai lavori fino a poco prima della morte?
Quello che è certo è che Raffaello spirò dopo giorni di febbre continua e che nella sua vita fu particolarmente ”affezionato” alle donne. Tra le voci più autorevoli che così lo descrivono c’è il Vasari. Sebbene l’ipotesi della causa per infezione sessuale sia ormai superata, la teoria rimase molto popolare e piacque particolarmente a Picasso che, come un voyeur, attratto dalla leggenda, lo rappresenta in una stampa della serie Suite 347, sorprendendolo con pennello e tavolozza avvinghiato al corpo della donna, mentre Papa Giulio II sbircia divertito, riproponendo il mondo dell’atelier-bordello, fantasia comune degli artisti che celebravano spiritualmente il rapporto fra pittore e modella. Il disegno fa parte di una serie di incisioni dell’artista spagnolo, composte tra il marzo e l’ottobre del 1968, quando questi si dedicò al tema erotico in 347 preziosissime carte, da qui il nome della serie Suite 347, esposte nel 2009 anche in Italia al Museo civico di Cremona, e che restituiscono al pubblico l’idea di un Picasso che osserva e racconta l’aspetto grottesco del mondo attraverso immagini poetiche e irriverenti.
Ad ogni modo, è difficile credere a una morte di Raffaello dovuta ad una diffusione venerea, come tramandato scherzosamente dal Vasari, ed è più facile pensare a un’infezione polmonare, anche perché la sifilide, come già detto, è una malattia altamente invalidante, che non gli avrebbe concesso di lavorare fino agli ultimi giorni di vita, trascorsi appunto tra commissioni e incarichi che lo hanno impegnato e sfiancato oltremodo. Il giorno della sua morte, infatti, Raffaello era ancora l’architetto capo della fabbrica di San Pietro, si trovava alle prese con le decorazioni degli appartamenti pontifici, e tentava di concludere la monumentale tavola della Trasfigurazione, dedicandosi in modo appassionato all’ambiziosa impresa antiquaria affidatagli dal Papa, ossia la carta archeologica della Roma antica. In più, il Duca di Ferrara lo aveva anche incaricato di pensare monumenti per la sua residenza. Diviso fra molti cantieri e preso dai rilievi archeologici, Raffaello si ammala. Dopo 500 anni, la sua morte resta ancora un mistero. Per ora però ci si attiene (e piace farlo) alle parole del Vasari secondo cui «Raffaello era persona molto amorosa affezionata alle donne e ai diletti carnali, faceva una vita sessuale molto disordinata e fuori modo. Un giorno, dopo aver disordinato più del solito, tornò a casa con la febbre».