Parla Nora Lux

Roma

Con il progetto Solve et coagula Nora Lux prosegue un percorso iniziato nelle cavità della terra per raccontare la storia del femminile nella nostra anima. Un lavoro che inizia dall’intuizione fotografica per scaturire in azioni, performance attraverso le quali l’artista entra in totale sintonizzazione e armonia con il ritmo dei luoghi. Energia stavolta affidata allo spazio della galleria Canova 22, a Roma, ex fornace del grande scultore neoclassico, Antonio Canova. In diretta streaming su Facebook, la performance avrà luogo in due momenti diversi, il 7 maggio e il 21 maggio, alle ore 20.00.

Chi è Nora Lux e su cosa si concentra la sua ricerca e pratica artistica? «Il mio interesse parte da lontano, dalle Veneri del paleolitico. A 8 anni, già fotografavo la natura, ed ero affascinata da queste statuette che vidi la prima volta con mio zio in visita ai musei. Solo più tardi mi resi conto che avevano un significato magico connesso alla fertilità e al culto della terra. È in questa comunicazione continua che decido di sacrificare la mia immagine nell’opera, dal 2005 la tecnica dell’autoscatto mi accompagna, rendendo più incisivo il lavoro sul tempo. La fotografia, lo sappiamo, può fissare l’eterno, il mio proposito è più ambizioso: vorrei non fissare, ma lasciare scorrere, permettere al tempo di passare, non fermarlo e dominarlo, ma creare con esso e su di esso, sfuggire alla vocazione naturale di specchiarmi nell’obiettivo fotografico per attingere ad un altro universo, quello degli Dei, e più specificatamente, a quello della Grande Dea, influenzata dalle teorie di Marija Gimbutas e dall’indagine di Erich Neumann sull’archetipo della Grande Madre. L’elemento Terra e le grotte sono i primi luoghi dove iniziare la trasformazione, passaggi ctoni, simboli di profondità dell’inconscio, terra serrata nel dialogo tra il chiuso e il vuoto, come il mio corpo femminile concluso nel dialogo tra luce e ombra e l’utero nel confronto ciclico tra morte e vita. Ciclico è anche il mio ritorno, in primavera, nei boschi sacri dove ogni volta sono di fronte all’immutabilità e alla radicale diversità di un paesaggio che è soprattutto magico-emotivo: la grotta è la stessa, ma questa volta il mio corpo è come assorbito, integrato, vibrante con la porosità e cavità. Seguo le ferite e le irregolarità come fossero informazioni del corpo, del vissuto, tra ciò che sprofonda e ciò che riaffiora, ed è allora che ti accorgi di non esserti mai voltata, nasce in te la necessità di uscire dalla caverna per seguire quel punto di luce blu, il mare».

In che modo le azioni performative sono la naturale evoluzione dell’autoscatto? «In realtà si compenetrano, poiché per me non c’è confine tra l’agire e il momento fotografico. Il mio lavoro prevede sempre un lento e progressivo avvicinamento alle condizioni ideali di scatto che è inizialmente fisico, poi psichico e spirituale in una simbiosi con l’ambiente. Quando nasce in me la visione, entro nel silenzio della mente, mi dirigo verso il mistero che precede ogni dialettica. Il diaframma della macchina fotografica si schiude per fissare l’istante magico e profetico in cui coincidono Genius personae e il Genius loci, in cui microcosmo e macrocosmo si allineano in una realtà trascendente, terribile ed estatica: l’esperienza con gli archetipi del sé. L’immagine creata non sarà il traguardo, ma una delle tante manifestazioni del tutto. Ogni volta il percorso è sempre imprevedibile, inaspettato, non si può discendere due volte nello stesso fiume. Il mio corpo Eterico cede a questa trasfigurazione con il luogo poiché ognuna delle parti è divisibile e unita con le altre. L’azione, la performance e lo scatto coincidono». 

Solve et coagula rientra all’interno di un più ampio processo di studio e sperimentazione sulla natura, il luogo e l’essere femminile, che hai iniziato con Vitriolum nel 2017. Puoi raccontare il passaggio tra queste fasi? «In tutto il mio lavoro c’è sempre una discesa e una risalita, inteso come morte e rinascita. I luoghi, sono elementi di perdita e di riconoscimento di sé, del mio corpo di donna come labirinto-caverna iniziatica, ma soprattutto del mio essere, dell’insopprimibile, indicibile confronto tra il noto e l’ignoto. Vivere questi luoghi significa metabolizzarne il cambiamento, sussumerlo su di me artisticamente e fisicamente, imprimerlo nel mio corpo prima ancora che nell’obiettivo. Il corpo come luogo terreno:come è cambiato il luogo è cambiato il corpo. Questo processo iniziale trova la sua manifestazione performativa nel progetto Vitriolum in cui l’animale, che per me è la saggezza istintiva, la capacità di capire, di ascoltare, di osservare, di mutare, può entrare in relazione con la parte magica del nostro io. Spesso nelle mie immagini mi capita di entrare in relazione con gli animali del luogo. In uno degli scatti a me più cari ,nei ciclopici percorsi sacri di Sovana, mi sono trovata ad osservare un corvo che volava sopra di me gracchiando mentre cercavo la posizione all’interno dell’inquadratura. Il corvo è simbolicamente associato alla nigredo, l’opera al nero, la prima fase del processo alchemico: è cosi che nasce VitriolumNella performance, il rapporto con l’animale è condiviso con il pubblico, un rituale di sintonizzazione nel quale lo spettatore interagisce attraverso l’osservazione attiva. In questo recente progetto ,che nasce dal nuovo ciclo fotografico realizzato sull’isola di Ustica, tutti gli elementi confluisono insieme, il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra si uniscono nella grotta segreta : il mio cuore su quell’isola ogni giorno palpitava nell’anima! Quando il sangue brucia, e va verso l’alto ,e la mente si oscura nella notte più buia ,l’uomo vive il proprio tormento non come un disagio, ma come un’opportunità. Solve et Coagula, Sciogli e Riunisci, è proprio il caso di ripeterselo come un mantra in questo periodo di grandi cambiamenti a livello globale».

Le azioni sono dei processi di sintonizzazione con le energie dei luoghi, ma anche dei riti. Partendo da questa intrinseca relazione tra azione e luogo, la scelta di realizzare presso Canova 22 la prossima performance a cosa è legata? «Cosi come la parete rocciosa dei siti preistorici è incorporata nei dipinti in quanto elemento dinamico, come se fosse un velo attraverso il quale il nostro mondo comunica con le altre dimensioni, così attraverso la forma circolare dell’ex fornace di Antonio Canova e la memoria del luogo legata al fuoco, mi pongo in armonia con il passato. Quello che i pittogrammi preistorici annunciano non è soltanto che coloro che le dipinsero fossero divenuti uomini dipingendole, ma che lo fecero lasciandoci immagini di animali e non di loro stessi. I pittogrammi delle grotte risuonano nella mia visione interiore, cerco di avvicinarmi a quell’umanità tanto simile a noi, tracce che questi uomini ci hanno lasciato dopo molti millenni. Che sia una caverna oppure la fornace del massimo esponente del neoclassicismo, l’eco della festa è forte, come un gioco tra la vita e la morte, in un movimento degli opposti in cui i contrari si uniscono, dove il gioco diventa lavoro e dove la trasgressione contribuisce ad affermare il divieto».

In questo nuovo lavoro il suono riveste un ruolo particolare e amplifica quel processo di sintonizzazione con il luogo di cui parlavamo prima. Qual è dunque il percorso attraverso cui questo accade? «Il percorso è un accadimento. Ricollegandomi alla festa di cui parlavo prima, nello stato di trance la donna sciamana utilizza il suono come mezzo di connessione per arrivare alla metamorfosi dove incontrare la forma animale. In questo caso avviene attraverso l’elemento fuoco di cui simbolicamente Canova22 è composto. La geometria del luogo, lo spazio e il suono sono la tela dove fluttuare in maniera astratta. Tutto si muove in un rinnovamento cosmico, dove si integrano ebbrezza dionisiaca, possessione apollinea e orfica beatitudine dell’anima. Recupero questi elementi ancestrali non solo attraverso la pianificazione dell’io ma grazie a elementi presenti nella nostra psiche come un fiume carsico e una porosità quasi medianica, guidata dall’inconscio collettivo».

Realizzare una performance attraverso il mezzo dello streaming introduce un nuovo elemento nella relazione tra l’artista e il pubblico. La performance, tra l’altro, accade in un momento di grande ripensamento della relazione, del contatto e dello stare insieme. In che modo ti rapporti rispetto a queste nuove variabili, date dal contesto? «I Sogni sono un modo privilegiato di ricevere informazioni, mi sono sempre fatta ispirare dalle visioni oniriche per creare le mie immagini o le mie azioni. Davanti al continuo bombardamento televisivo, degli smartphone, del cinema, siamo diventati una cultura visiva ed è attraverso l’immagine che comunicherò con il pubblico, come frammento di un sogno comune. Non mancherà il suono, sarà lui il terzo elemento, in una ricerca sulle frequenze, che porto avanti da qualche anno. La mente interpreta e dà significato attraverso la qualità dell’esperienza che è sempre soggettiva, sia che si tratti di una performance live che di uno streaming. È il nostro sé individuale che va esercitato, elevato, portato a un nuovo livello di consapevolezza. Se la tecnologia mi permetterà ancora di farlo, continuerò ad usare questo strumento in futuro».

Il mito, con i suoi personaggi e la sua narrazione, è spesso presente nel tuo lavoro, sembra fare da ponte tra la dimensione archetipica dell’uomo e la sua realtà quotidiana. Immaginando la ricerca artistica lungo un continuum, il mito è il motore o il punto di arrivo? «Il mito è motore, punto di partenza. Immaginiamo di essere dentro un labirinto, in un cammino circolare dove vi è una sola via d’uscita. Nel cercare questa uscita giungiamo al centro, ma questo altro non è che il centro di noi. L’eroe deve affrontare il toro in sé, mettendo questa energia al servizio della rinascita, così come il drago di San Michele Arcangelo diviene fonte di forza per la trasformazione. Nel percorso all’interno del labirinto, siamo guerrieri, affrontiamo il nostro Minotauro dove vita e morte si confondono sulla linea orizzontale, ma è solo tracciando l’asse verticale che possiamo sostenere i due mondi. Tutto questo è possibile grazie a un‘attenta tessitura, occorre il filo di Arianna, la trama, quella che oggi la fisica dichiara sostenendo che tutto è collegato, la teoria dell’Entalglement».

Le tue performance avvengono solitamente davanti a un pubblico o in piena solitudine, anche per questo con Solve et Coagula stai intraprendendo una nuova direzione. Cosa implica e che influenza pensi avrà lo streaming nel tuo modo di perseguire la ricerca? «Nel mio lavoro fotografico con l’autoscatto sono abituata a rapportarmi con la macchina fotografica posta su un cavalletto poco distante dalla scena, ora per lo streaming utilizzerò il mio smartphone, poco distante dall’azione performativa, e lo integrerò totalmente ,in un modo che forse,vi lascerà sorpresi. Ogni partenza inizia da una situazione di disagio, di necessità, un’urgenza: è il fuoco senza il quale non si può proseguire. Quello stesso fuoco che Ulisse seguita a sentire anche dopo essere tornato a Itaca è il sentire con cui si genera il cambiamento. Solve et coagula quindi implica intraprendere una nuova modalità, cambia il mezzo, ma non la direzione».

Il 7 e il 21 maggio alle 20 in diretta su https://www.facebook.com/Canova22/