Atelier#4 Giulia Spernazza

Roma

Giulia Spernazza ha scelto di esprimersi con il medium artistico che spesso facilita e offre la chiave per l’accesso al mondo interiore. Giulia ricerca la purezza e l’essenzialità per giungere a un armonico equilibrio individuale e confrontarsi con il proprio vissuto. L’esito sono opere minimaliste di grande raffinatezza.

Giulia, entrando a Fondamenta la tua opera La Casa del Vento ha un forte impatto visivo. Come nasce?
«L’opera nasce in occasione della mostra La natura esposta tenutasi alla Galleria Spazio Imago di Arezzo nel 2018, e ho voluto riproporla a Fondamenta per ampliare il progetto e sviscerarne gli aspetti concettuali. La casa del vento rappresenta la bellezza, la poesia e la forza della natura poste a contrasto con un senso di perenne precarietà e fragilità, esposte al passare del tempo e agli agenti naturali. L’opera è metafora della stessa precarietà umana».

Come hai espresso questo concetto?
«Usando esclusivamente materiali naturali. Rispetto alla prima versione del 2018 infatti ho eliminato i supporti in plexiglas su cui erano posti, compiendo un’ulteriore operazione mimetica e ancor più formalmente minimale. Inoltre, nel progetto per la mostra Basement, ampliando notevolmente lo spazio dell’installazione, sono riuscita a esprimere ancora di più questo connubio tra la forza della natura, che risiede nella sua mutevole bellezza, e la fragilità, espressa nei frammenti di carta posti in precario equilibrio sui resti di piccoli arbusti e filamenti vegetali. I frammenti per la loro leggerezza e trasparenza sembrano dover volare via al primo soffio di vento».

Tutte tue opere si distinguono per l’uso di materiali fragili e i colori chiari.
«Uso materiali fragili essenzialmente perché provengono dalla natura, che è un concetto su cui rifletto molto nella mia ricerca. La scelta di colori dipende da due ragioni. Per primo, provenendo dalla pittura, le mie scelte sono state sempre atmosfere armoniche tono su tono. Ma riconosco anche che la scelta è associata alla mia personalità: quello che cerco attraverso il linguaggio artistico è qualcosa di essenziale, per arrivare alla mia parte più autentica, ricerca che va di pari passo con quella interiore e spirituale. Per questo, in modo spontaneo, uso colori chiari associati al concetto di purezza. Per elaborare il minimalismo, altro aspetto che caratterizza le mie opere, inserisco dal nulla ciò che reputo essenziale e importante. Il passaggio più complesso è trovare l’equilibrio tra i pochi elementi che decido di tenere».

Nasci come pittrice, ti sei cimentata nella scultura e nell’installazione, sei passata dal figurativo al concettuale al minimalismo estremo. C’è un materiale che usi da sempre?
«La cera, un materiale naturale di cui ho sempre apprezzato le qualità».

Qual è invece il significato della serie Big Book?
«Nella serie, che deriva dalla precedente Art Book, pongo attenzione sul processo temporale della lettura come esperienza e sul concetto di stratificazione, legato alle fasi della vita che si sovrappongono e che si intravedono. La metodologia è di stratificare e lavorare con materiali che mi consentono di percepire quel che li precede, per elaborare il mio vissuto».

Progetti in cantiere?
«Dal punto di vista creativo il momento di emergenza che stiamo vivendo è per me di grande ispirazione, l’isolamento può diventare un’opportunità per contattare le emozioni e dargli espressione. La mia è infatti una ricerca che richiama molto al silenzio, all’introspezione e alla riflessione. Continua poi la collaborazione iniziata dieci anni fa con la Galleria d’arte FABER di Roma; sono stata selezionata per il SyArt-Festival Sorrento e ho vinto una residenza con mostra personale presso il MuSa (Museo di Salò) nell’ambito del premio Arteam Cup, organizzato da Espoarte. Non nascondo che con i colleghi di Basement c’è molta sinergia, mi piacerebbe che lavorassimo con i diversi linguaggi su un concetto in comune».

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