Artrooms fair

Roma

Per il secondo anno consecutivo, nello scorso week-end, è arrivata a Roma Artrooms Fair, l’unica fiera internazionale per artisti indipendenti fondata a Londra cinque anni fa dalla volontà di Cristina Cellini Antonini, Chiara Canal e Francesco Fanelli. Ospitata nella cornice romana dell’albergo The Church Resort, Artrooms Fair Rome, rispetta tutte le prerogative della fiera di Londra: espongono artisti senza passare per le gallerie: essi accedono direttamente grazie ad una application, vengono poi selezionati per la partecipazione e, ai selezionati, viene data a disposizione una camera del resort – da cui il nome ”artrooms” – che possono gestire e curare come meglio credono. Da due anni a partire dalla manifestazione londinese, su stimolo di Gianfranco Valleriani è nata anche una sezione dedicata alla videoarte da lui curata. Gli artisti che vogliono partecipare a questa sezione devono accedere sempre attraverso l’application e da più di cento proposte se ne ricava una rosa di pochi nomi. Un’altra parte della presentazione di opere video riguarda la sezione direttamente curata da Valleriani senza passare per la giuria: i guest artist, ovvero ospiti già affermati in campo internazionale che hanno avuto al loro attivo grandi esposizioni e grandi riconoscimenti nei musei internazionali; Valleriani commenta così: “è un bel modo di unire artisti indipendenti ed artisti che hanno anni di lavoro e di ricerche alle spalle.”

Ad accogliere, entrando sul viale che conduce alla fiera, sulla sinistra, un’opera di Camilla Anciotto che unisce scultura e pittura frammentando la Guernica di Picasso. Nella hall dell’albergo, tra le altre opere, un’installazione con oggetti e produzioni tessili di Olga Teksheva, artista di origine russa che lavora sulla sua memoria personale.

La sera dell’inaugurazione, uscendo nel giardino, nella sezione del Parco Scultoreo, la notte aumentava la suggestione di trovarsi in un ”parco giochi” per adulti di matrice pop. Campeggiava una scultura illuminata con due volti di matrice classica, uno maschile e uno femminile, uniti da un tessuto rosa che voleva rappresentare un chewingum: l’artista Michal Jackowski ha riflettuto sulle relazioni umane che, sia nel passato, sia nell’epoca contemporanea, sono ed erano effimere come il gusto di questa famosa gomma da masticare.

Nell’antico palazzetto di fronte, salendo le scale e percorrendo un corridoio, si arrivava ad una stanza affrescata dove il pop continuava a regnare nella sezione special guest Free Vision of the Best Digital Sub/Culture Focus on DIGITAL & VIDEO ART, curata da Gianfranco Valleriani (BrainArt) e Michaël Borras A.K.A Systaime (SPAMM/SuPer Art Modern Museum). In una prima tendenza, i tratti della quotidianità rivisti in chiave creativa venivano rappresentati grazie alle più contemporanee tecniche di 3D: gli artisti in mostra uniscono gif, emoticon, animazioni, che noi utilizziamo regolarmente ad un mondo immaginario che riguarda il nostro contesto sociale, rendendo la fruizione ipnotica; una seconda tendenza riguardava un filone affine che era rappresentato dalla costruzione di video dove alla destrutturalizzazione dell’immagine si unisce una conseguente ricomposizione provocando nuove visioni. La prima tendenza aveva come protagonisti: XCTAL FISK di Jon Satrom & Jason Soliday, H [ÔM] 3 di Michaël Borras A.K.A Systaime, Animaux di Lorna Mills, Portraits in Landscape di Carla Gannis, dove queste due ultime artiste hanno esposto entrambe a Time Square a New York e provengono dal Withney Museum; la seconda tendenza aveva come protagonisti DOWN TOWN MPLZ di Domenico Dom Barra e Empty object di Miron Tee.

Proseguendo verso le stanze dell’albergo, il cuore della fiera: le camere progettate dagli artisti. Se ne possono citare alcune. Una stanza era piena fili trasparenti cui erano attaccati bottoni di tutti i tipi: l’artista polacca Magdalena Jasiak raccontava che erano i bottoni del nonno sarto e questo calore, questa spazialità accogliente, rispecchiava a pieno il carattere del nonno, il suo spirito. Mentre l’aurora boreale era al centro del lavoro del bulgaro Tsvetomir Iliev che unisce suggestivamente corteccia d’albero, pigmenti colorati e luce ultravioletta. Fotografie di volti emaciati provenienti dal Pakistan erano frutto dell’occhio sensibile della pachistana Sapna Khan. Tre artisti tedeschi, in stanze pressoché attigue, presentavano lavori fotografici simili sugli spazi vuoti come case abbandonate: erano il duo Anna & Roman Kueffner e Hassan J. Richter. La strutturazione dell’immagine per strati di colori era il risultato della visione della città di Londra dell’artista Laurence Causse Parsley: l’energia che le restituisce questa metropoli, in cui vive, la dirige verso la rappresentazione di parchi, grattacieli, acqua del fiume con acrilici, pennarelli acrilici e lacche colorate. Uno sguardo al seicento si ritrovava nelle fotografie di Dominique Agius, francese di Nizza: scatti in studio che sentono l’influenza della luce caravaggesca si rifanno ad iconografie del passato con uno sguardo al contemporaneo. Un’intera stanza era dedicata all’entomologia attraverso opere dove, dentro teche, oltre agli insetti i principali protagonisti sono gli spilli: l’artista era l’italiana Alice Padovani. Oli su tela e disegni a matita di rara perfezione e capacità comunicativa si trovavano nelle opere dell’italiana Cetti Tumminia. Infine da citare la scultura, poco rappresentata in fiera, con le opere di Sylvia Gérardin che possono far pensare alle sculture di Medardo Rosso.

Sabato sono stati presentati i video della sezione principale selezionata a partire dalle application: undici opere di generi totalmente diversi che abbracciavano varie tecniche, dal 3D all’analogico, i cui temi erano: tempi dell’attraversamento e frammentazioni visive. Nonostante le differenze tutti erano accomunati dal filone introspettivo, ”nel rapporto con la coscienza, la memoria, l’identità psichica, il risvolto esistenziale, i sentimenti, il ricordo” come dice il curatore Valleriani. Da notare il video PsicoIdioma di Camilla Pisani che visualizza un contesto psichico fatto di linee, figure geometriche, o semplicemente punti; oppure un lungo viaggio nei mari lontani, in ricordo delle visioni oniriche di Hugo Pratt, che ci conduce nel mondo animato di Neverland di JOY WANG aka Littleshepherd. Mentre domenica è stato presentato il documentario Tokyo 365 di Virginio Favale di cui erano esposte anche fotografie da questo e altri video di viaggio; il curatore Valleriani: ”Favale a Tokyo ha ripreso volti, movimenti, ritmi delle persone.”

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