L’edizione 2019 di ADAA’s The Art Show di New York ha in serbo una piccola grande soddisfazione per l’Italia. Sarà in occasione della fiera newyorkese, aperta al pubblico dal 28 febbraio al 3 marzo, infatti che Hauser & Wirth, una delle gallerie internazionali più potenti del momento, mostra al mondo la sua neonata collaborazione ufficiale con Roberto Cuoghi. A siglare l’entrata dell’artista modenese nelle scuderie della galleria, una personale delle sue sculture più recenti, che sovvertono e ricreano forme animali.
Roberto Cuoghi (1973), vive e lavora a Milano, ed è riconosciuto per un variegato corpo di lavoro che sfida intenzionalmente ogni tentativo di categorizzazione. Nonostante la sua padronanza delle tecniche di pittura, scultura, musica, animazione e ceramica, si rifiuta di dedicarsi ad un solo medium. La sua opera si distingue per una forte enfasi sul processo e sul cambiamento fisico come manifestazione di una metamorfosi psicologica, che poi, attraverso una ricerca storica approfondita, si traduce in sistemi produttivi antichi e tradizionali o esperimenti scientifici che inducono reazioni biochimiche nei materiali usati. Cuoghi ha fatto della sperimentazione il proprio metodo per raggiungere i suoi obiettivi, immergendosi in lunghe serie di tentativi e di errori, riproduzioni, distruzione, continui cambiamenti. Il suo approccio scientifico è quasi in bilico tra archeologo, inventore e ingegnere, in questo spingersi instancabile verso l’ignoto e la scoperta. Spesso lo fa coinvolgendo il proprio corpo in questi processi di trasformazione, in un impegno totale verso questa pratica. Per esempio, il lavoro che l’ha consacrato risale al 1998, quando decise di trasformare il proprio corpo da venticinquenne in quello di un uomo anziano.
Il punto focale dello stand di Hauser&Wirth all’Art Show di New York è rappresentato da alcuni pezzi che fanno parte di uno dei suoi principali progetti scultorei, Putiferio (2016), termine latino che significa «portare fuori gli odori dell’inferno». Sviluppato su commissione per la DESTE Foundation sull’isola greca di Hydra, ha utilizzato forni – fatti da sé – scaldati a 1200°, una stampante 3D rimodificata e dei granchi comprati al mercato. Dopodiché ha alterato le forme in argilla fino ad ottenere quella desiderata per la stampa. L’artista ha passato mesi a sviluppare i suoi forni nella periferia milanese prima di ricostruirli sull’isola per cuocere, se così si può dire, i granchi. Ma non finisce qui. Nello spazio sarà in mostra anche Ether en Flocons (2016 – 2018), un’installazione comprensiva di 10 uccelli fatti di agar-agar e gelatina di maiale. Ognuno di loro proviene dallo stesso calco, all’interno del quale Cuoghi rovescia la sua sostanza e attende poi la solidificazione. Di fatto, i batteri e la muffa si sviluppano nel tempo a mano a mano che l’uccello viene trasformato dall’ambiente naturale, fino a quando Cuoghi non stoppa il processo congelando l’uccello a temperature estreme e poi lo lascia in un freezer per un mese, convertendo quella che era una gelatina instabile in una scultura stabile, alla quale poi aggiunge i ritocchi finali. Questo progetto ambiziosissimo ha segnato un nuovo territorio per l’artista, emblematico della sua continua devozione per esercizi di metamorfosi.
A metà tra l’apprendimento e l’ossessione, la sua pratica iniziata con la “performance” del 1998 ha avuto un seguito di 7 anni, durante i quali ha accelerato, apparentemente, il proprio processo di invecchiamento senza uso di prostetici, ma effettivamente aumentando di peso e lasciandosi crescere barba e capelli grigi. Un lavoro che ha prodotto effetti definitivi, pena un trauma, se fosse tornato indietro, che avrebbe danneggiato la sua salute mentale. Il ritratto di questi anni è nel suo film The Goodgriefies (2000), che evidenzia per l’appunto le complessità derivanti dalla nuova identità di Cuoghi in quanto uomo anziano. Restio a qualsiasi definizione o accostamento di questa operazione ad una performance o una semplice opera, per l’artista si tratta piuttosto di qualcosa che si interpone tra arte e vita. D’altronde la trasformazione ha accompagnato Cuoghi tutta la sua vita. Dal lasciarsi crescere le unghie per undici mesi a quando per cinque giorni ha indossato degli occhialini che distorcevano pesantemente la sua vista, le sue sono esplorazioni che si spingono in nuove forme di umanità e di creazione. Durante questo periodo di cecità autoimposta per esempio, l’artista ha disegnato autoritratti, scritto poesie e catalogato la propria esperienza in lavori cartacei, una serie che ha chiamato Il Coccodeista (1997).