Giovanni de Cataldo

Il grande esterno urbano rubato, pimpato, liftato e messo in mostra

È tutto accaduto, più o meno. I guardrail incidentati, in ogni caso, sono abbastanza veri. Un tale che conosce Giovanni de Cataldo ha controllato veramente i pezzi distrutti, dopo l’incidente, con la macchina nel crash test a Pereto in Abruzzo. De Cataldo ha cambiato tutti i nomi. È tornato veramente a Pereto e non somigliava molto a Roma, c’erano più spazi vuoti che in città. Nel terreno dovevano esserci tonnellate di ferro piegato. Lo stesso accartocciato a terra nel suo studio a San Lorenzo, al Pastificio Cerere: guardrail smostrati presi dall’artista proprio a Fiano Romano in un centro che testa questi arredi metropolitani. «Avevo cominciato a lavorare – dice l’artista – con dei guardrail incidentati presi direttamente dalla strada; quando li modificavo mi prendeva un po’ la cosa che ci si fosse schiantato uno, era una sensazione macabra».

Scivola con la sedia fra i guardrail appoggiati sul pavimento: sono ancora a ferro vivo, veramente come devono apparire, dove li prende, arrugginiti, nel centro impilati in file a formare torri. Poi li lavora e li riveste con i leggins, li colora, li tropicalizza. Diventano un’altra cosa. E se una cosa diventa un’altra cosa, non è più la cosa che era: non è più la realtà. «È come guardare una natura morta e pensare sia soltanto frutta», dice Marracash; la stessa cosa vale per i guardrail di de Cataldo. «Mi interessa – conferma – partire da un dato reale, trasformarlo ma lasciare una forte impronta dell’origine. Immagino uno spettatore spaesato di fronte a una forma che conosce ma non riesce immediatamente a riconoscere». I guardrail, così, abitano in una sfumatura di grigio chiuso fra il prelievo diretto della realtà e la creazione originale. Sono la realtà, ma non lo sono fino in fondo, sono inventati ma non completamente. Sono la strada ma a differenza di Noodles in C’era un volta in America non puzzano di strada e sempre al contrario Noodles, («A me piace da matti la puzza di strada – dice – mi fa stare bene») a loro va bene così.

E questo non vale solo per i guardrail: tutto in de Cataldo è dissimulato; lo conferma Via degli Ausoni, lavoro finalista al Talent Prize 2018. L’opera riproduce, in lamiera lavorata a laser, la forma delle reti da cantiere metropolitane: rimane in piedi da sola senza il supporto dei tondini di ferro normalmente accoppiati alle reti e inchiodati sull’asfalto. Dovrebbe accasciarsi a terra quindi, almeno questo si aspetta l’osservatore, ma non lo fa, rimane in piedi, rigida anche se leggermente curvata. Dovrebbe essere di plastica molle, almeno così ci si aspetterebbe, e invece è in lamiera rigida: pare uno svarione che ti si pianta davanti a San Lorenzo, in mezzo a via degli Ausoni, venerdì notte, quando provi a tornare a casa. «Ma quello che mi interessava di più – spiega de Cataldo – era riportare qualcosa di familiare, di quotidiano allo spettatore, una cosa che sei abituato a vedere tutti i giorni e non farci neanche più caso. La rete è una banalità, è parte della città e non ha un significato per le persone, eppure fa parte del nostro mondo. Voglio riportare alla luce qualcosa che non vediamo».

Inutile dire come il discorso valga anche per i guardrail e per i tappi sopra le fontane romane in ghisa, i famosi nasoni, che de Cataldo ha preso e riprodotto con altri materiali, altri colori per poi appenderli ai muri confondendo, di nuovo, il visitatore che con difficoltà riusciva a capirne l’origine. Prendere qualcosa, modificarla per non farla funzionare come ci si aspetta è il modo migliore per notarla, almeno così la pensava Heidegger: ti accorgi che cos’è una penna solo quando non scrive più. Su questo terreno si alza il sistema de Cataldo costruito con una grammatica urbana fondata su un alfabeto di strada. Tutto nell’artista è in origine un prelievo urbano, di arredi urbani: guardrail, nasoni, reti da cantiere, tessuti catarifrangenti, pvc, asfalto e così via. Una miniera che condivide con altri artisti, Pierre Gaignard, Andrea De Stefani, Cosimo Casoni, uno scavo nella realtà metropolitana che trova similitudini nella pratica di Ugo la Pietra. Basta infatti sfogliare Attrezzature urbane per la collettività per scoprire la stessa attenzione a quelle cose per strada e che dalla strada possono avere altre funzioni facendo riscoprire la cosa sotto una nuova luce, anzi e meglio, farci scoprire la cosa punto e basta. Edicole che diventano letti, pali si trasformano in amache secondo il credo situazionista ”Abitare è essere ovunque a casa propria”. Ma qui andiamo da un’altra parte.

I maestri dicevamo: «Ho sempre lavorato – ammette de Cataldo – libero da influenze. Poi è chiaro che una cosa la vedi, la inglobi e cominci a lavorarci sopra anche inconsapevolmente. Sono partito dall’asfalto, poi il cemento con i carotaggi di diversi materiali e poi uno switch che potrebbe ricordare Gianni Piacentino, anche se ci sta un po’ stretto: lui partiva da zero, io abbellisco il già dato, trasformo la superficie». Più che il design, nella sua personale romana, San Lorenzo alla z2o, de Cataldo sembra proseguire un percorso sull’oggetto dato che non può prescindere dal Nouveau Réalisme con le compressioni di Cesar e quelle di Chamberlain; e una sensibilità materica che lo riporta direttamente a Brancusi con le sue declinazioni della Muse endormie realizzata con le stesse forme in diversi materiali, esattamente come i tappi dei nasoni che ritmavano le pareti bianche della galleria.

Nello spazio anche tele ricoperte di materiale catarifrangente, Abbronzatissimi, che faceva da sfondo a una rete da cantiere, lavoro, questo, che sembra abbia giusto il compito di definire meglio il paesaggio di riferimento e niente di più. Compendio di tutta la sua ultima attività, la mostra è stata la base dell’ultima personale nel Principato di Monaco alla galleria nm>contemporary. Intitolata Lowrider, l’esposizione assottiglia il filo che lo lega alla realtà; se le reti da cantiere pur cambiando materiale rimanevano ancora arancioni, ora vengono ricoperte di colore flou e la loro trama si rimpicciolisce a formare griglie da giustapporre a tele ricoperte di tessuto catarifrangente, a terra un pvc a bolle stile metropolitana e sopra nuovi oggetti incidentati: i crash cushions. «Lowrider – conclude spiegando il titolo – è, per cominciare, una canzone dei Cypress Hill e anche un termine specifico che indica una macchina con le sospensione idrauliche; una parola estendibile a oggetti modificati, pimpati, che insomma non sono come erano in origine». Un sunto di tutto il lavoro di de Cataldo: un titolo perfetto.

Via degli Ausoni
Via degli Ausoni è una rete da cantiere declinata in lamiera. «La forma – dice l’artista – mi ricorda un Colosseo moderno anche per via di questa teoria di aperture nelle quali lo sguardo è bloccato, non puoi vedere veramente tutto quello che c’è dietro, l’occhio si scontra sempre con qualcosa». Potrebbe anche essere il simbolo dei nostri giorni, il ritratto di una città intesa come un eterno cantiere, pieno di lavori eternamente in corso, senza fine, ma non è nata per questo: «Mi interessava – spiega – far concentrare le persone su un oggetto di una banalità infinita, una cosa familiare a chiunque e mostrarla sotto un altro aspetto». Come spesso succede infatti con i prelievi dalla realtà anche in questo caso ogni volta che incontrerete una rete da cantiere penserete che alla fine non è poi così brutta a guardarla bene.

BIO

1990
Nasce a Roma il 25 giugno

2014
Prende lo studio al Pastificio Cerere

2015
Partecipa alla collettiva Collective Studio nella Fondazione per l’Arte a Roma

2017
Espone Got mit uns in Una Vetrina a Roma

2018
Due personali: San Lorenzo da z20 con testo di Cecilia Canziani e Lowrider da nm>contemporary nel Principato di Monaco