Corinna Gosmaro

Immagini senza tempo: la nostra storia è anche la sua storia, il suo paesaggio il nostro 

È la vincitrice della nuova edizione del Talent Prize, ma prima ancora di questo nuovo riconoscimento è un’artista che si è distinta per un percorso in continua crescita ed evoluzione, attento e ponderato, sapendo distinguersi nel panorama artistico italiano (e non solo). Al di là dei suoi appena 31 anni, ha già scritto punti importanti nel suo curriculum, basti pensare alla residenza a Parigi alla Cité Internationale des Arts e la sua ultima residenza presso BocsArt di Cosenza. Ci siamo fatti raccontare qualcosa di più sul suo modo di vedere passato e futuro.

Cominciamo dalla fine: hai vinto il Talent Prize con Skies #3, che traduce la tua idea di paesaggio; ma quali sono stati i paesaggi della tua formazione, reali o metaforici?
«Principalmente quelli piemontesi, visti dal finestrino dell’auto. Ricordo molto bene quando ho cominciato a percepire il paesaggio come immagine: avevo circa otto anni, era notte e le uniche forme che distinguevo erano dei livelli che scorrevano, delle stratificazioni sovrapposte di neri, blu e verdoni. L’unica luce proveniva dall’auto guidata da mio padre, dalla radio».

Una scelta molto classica da un certo punto di vista: la rappresentazione del mondo che ci circonda è stato un po’ il primo step per molti artisti. Ma perché un paesaggio esterno da te e non quello interiore?
«È proprio questo il punto. Il paesaggio a cui mi riferisco è tutt’altro che esterno a me, è un intermezzo tra memoria, percezione visiva ed emozione. Non ho parlato di un paesaggio particolare, non ho citato il paesaggio delle Langhe o la campagna di Genola dove sono cresciuta, ma ho evocato una sommatoria di paesaggi visti dall’auto guidata da mio padre, ho richiamato la memoria di una bambina di otto anni, di una me dentro me; se non è interiore questo! Non penso sia interessante il biografismo nell’arte, quello che cerco è un’immagine che azzeri la comune distinzione tra esterno e interno, percepito ed esperito. Le grandi immagini dovrebbero sempre riuscire ad andare oltre le categorie e mostrarsi capaci di offrire più di un livello di lettura».

Nella tua ultima personale Talking Knots hai portato la tua ricerca verso l’approccio di nuovi medium: perché questa scelta?
«È una scelta logica ma anche naturale. Nel mio lavoro paradigmi culturali, scenari domestici, evocazione di paesaggi convergono. Talking Knots è proprio il tentativo di fondere passato, presente e futuro in un universo archetipico e di evidenziare la funzione narrativa e comunicativa delle immagini primordiali, e perciò senza tempo, come il paesaggio, la casa e il mondo animale. L’utilizzo di nuovi medium, differenti tra loro, mi ha permesso di rispondere meglio a questa esigenza. Trovo sia necessario non fossilizzare l’immagine in un solo medium. Ma alla fine dipingo su tutto. Metto mano su tutto».

Possiamo dire quindi che la pittura sia un po’ come il tuo segno distintivo.
«Penso sia la mia attitudine, il mio modo di appropriarmi di uno spazio: mettendoci mano».

In Talking Knots hai reso visibile un legame evidente con queste immagini primordiali, sembra di avere davanti degli oggetti preziosi provenienti da un’antica tradizione popolare custoditi in un Museo di Archeologia. Sei sempre stata affascinata dal passato?
«No, ne sono affascinata nella misura in cui è un’invenzione piuttosto particolare dell’essere umano, quindi non tanto come concetto temporale bensì come idea e culto, come narrazione densa di significati che la nostra specie ha creato».

Le donne dei tuoi disegni sono una preziosa sintesi che fa pensare alle forme di Ingres o alle linee di Matisse: quali sono stati i tuoi reali punti di riferimento e ispirazione?
«Picasso, Bernini e Balthus».

A fronte di quanto già fatto sin ora, credi che quello dell’arte con le sue residenze e i suoi premi sia un sistema funzionante?
«Non so mai rispondere a domande di questo tipo. Efficace per cosa? Per chi? Non ne ho idea, io ne sono felicissima».

Skies
Skies #3 è un’installazione composta da un filtro in poliestere dipinto con pittura a spray e fa parte di una serie più ampia di lavori con i quali l’artista riflette sul concetto di paesaggio. Quella raffigurata da Gosmaro è un’immagine, ideale, astratta, perché è la sommatoria di percezioni raccolte e sovrapposte. «È quell’impressione – conferma l’artista – che affiora sotto le palpebre quando si richiama alla mente la parola paesaggio. Un’immagine ideale, astratta per definizione, storia di tutte le percezioni raccolte e sovrapposte».

Bio
1987
Nasce il 27 luglio a Saigliano, Cuneo
2012
Consegue il diploma all’academia Albertina delle arti di Torino
2015
Presenta la personale Lavorare stanca alla Thomas Brambilla Gallery di Bergamo
2017
Vince il premio Premio 6Artista
2018
È in residenza nella Cité Internationale des Arts di Parigi