Jacopo Rinaldi

Direttamente dalle nostre pagine del giornale vi proponiamo un articolo pubblicato sul numero 112.

Jacopo Rinaldi abita l’interregno gramsciano. Scrive il politico: ”La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Ok, certo, una condizione comune a molti. Ma Rinaldi lavora su quel tempo dove il passato spira sul presente e il presente è ciò che chiamiamo futuro. Rinaldi insomma opera sull’archivio, anche se non è del tutto vero. E lui lo dice, in un bar di San Lorenzo, proprio quando l’estate muore e l’autunno non vuole nascere. «L’archivio è prima che una modalità di azione, un’idea: uno sguardo postumo sui resti della storia. Ma non ha niente di melanconico, cerco di costruire un rapporto dialettico fra passato e presente. Anzi adesso sto lavorando meno sull’archivio e più su queste temporalità, come piegarle, come confonderle». È questa agilità di pensiero cronologico che definisce l’interregno, l’ambiguità fra ciò che è stato e quello che già è. Una mentalità vicina a quella di un ricercatore e Rinaldi dice pure questo. Dice che è difficile affermarsi artista e che preferisce essere un ricercatore, anzi un artista ricercatore e «che in fondo – dice anche – ogni artista ricerca qualcosa e quindi è un ricercatore anche lui». Rinaldi trova la base della sua idea temporale nel concetto di storia Benjamiano che a sua volta si ispira a un quadro di Paul Klee che rappresenta un angelo. Per Benjamin la storia è quindi una figura alata con il viso rivolto al passato, esattamente dove vorrebbe rimanere, ma una tempesta la spinge via da quel paesaggio, verso il futuro. Per il filosofo quella tempesta è il progresso. Sarebbe bello fosse così anche per noi ma la tempesta è diventata una sfiatata, e pure mal vista dalla gente, mentre l’angelo è parcheggiato nell’unico posto possibile: il presente. Lo sforzo di Rinaldi sembra essere quello di tenere in piedi l’angelo senza farlo crollare a terra, senza farlo volare nel passato. «Cioè – precisa Rinaldi – sono più che altro letture che faccio, non ho una conoscenza storiografica, poi non lo so se tutto questo si ritrova nei lavori». Sì, proprio sì, ma parliamone di questi lavori però, tipo quello finalista al Talent Prize «Certo. Il progetto viene presentato ogni volta in una maniera diversa e ogni presentazione ha un tema preciso. Questa volta mi concentro sul circuito chiuso. In pratica ho molto materiale a disposizione che assemblo a incastro in cornici. Tutto parte da un lavoro di documentazione sullo svuotamento dell’archivio di Harald Szeemann. Ho deciso di concentrarmi – continua – sull’ultimo giorno quando diversi artisti hanno esposto nello spazio. Con un ex allievo di Szeemann, diventato poi un architetto specializzato in rappresentazione digitale, abbiamo fatto un rilievo dell’archivio. Il risultato è una nuvola di punti che ha un aspetto litografico, sembra quasi una stampa di Piranesi. Rilievi, insieme a foto e testi che ho scritto sono gli elementi dell’installazione che a prescindere dalle varie forme che prende ha come tema principale l’architettura e la memoria». È evidente come l’interregno spinga l’artista a rimpastare il passato, trasformarlo e piegarlo in base a esigenze del presente, non certo del futuro, a mettere mano su un lavoro chiuso e concluso per regalargli un posto nell’adesso cercando anche di assomigliare sempre di più all’oggetto preso in esame. «Szeemann – dice infatti Rinaldi – aveva un’ossessione per il suo archivio. Ogni volta che usciva uno scatolone per una mostra poi rientrava ingrandito della documentazione dell’esposizione per la quale era uscito. Sto pensando di fare lo stesso anche con il mio progetto. Con una polaroid vorrei mostrare allo spettatore come erano le installazioni precedenti, integrare le foto all’interno dell’incastro delle cornici. Ogni presentazione così, proprio come gli scatoloni di Szeemann sarà ogni volta più grande». L’interregno diventa un cerchio dal quale non se ne esce, un labirinto pieno di specchi che riflettono la figura presente e il passato alle sue spalle. Un groviglio inestricabile che più è interessante e più è fitto, e più è fitto più pare mangiare se stesso. Viviamo del resto in una tale quantità di informazioni, di dati giganti tutti concentrati su un passato recentissimo, sì anche di ieri, che nessun’epoca ha mai conosciuto. Un materiale vasto che non sappiamo come gestire e selezionare e che in qualche modo ci costringere a rimanere con il volto girato al passato a rivedere questi documenti infiniti, a mantenere gli occhi sulle macerie di monumenti che fino a ieri erano nuovi di zecca. «Quello che mi affascina – dice Rinaldi – è che tutti questi dati immateriali hanno in realtà una dimensione fisica anche ingombrante. È uno dei temi di All the Word Memories, un video che ho fatto sovrapponendo l’audio di un film di Alain Resnais del 1956, che racconta il viaggio di un libro nella biblioteca centrale di Parigi e un filmato del Google data center. Mi piaceva ragionare anche su come una macchina che contenga dati astratti è fisica, talmente tanto che ci sono cavi, carrelli, macchine usate per raffreddare altre macchine, macchine usate per distruggere dati conservati in altre macchine più piccole». E proprio il video è un continuo avanti e indietro fra passato e presente, fra il sistema di archiviazione di una biblioteca e quello di un data center, fra l’apertura della prima e il divieto d’accesso della seconda, fra la selezione di titoli rappresentanti di una precisa élite culturale e il mondo di materiale senza selezione accumulato da Google. Più volte durante il corto l’audio di Resnais è coerente con le immagini del data center, altre invece cozza drammaticamente. «La storia – crede Rinaldi – si muove per continuità e discontinuità e dove c’è discontinuità diventa satira. Mi piacerebbe che qualcuno fra cinquant’anni mettesse mano al mio video e sarei curioso di vedere come verrebbe diciamo aggiornato perché per me le opere sono sempre modificabili».

Palinsesto è un altro concetto fondamentale per capire la pratica di Rinaldi e il suo ultimo lavoro, risultato di una residenza, Ramdom, in Puglia a Gagliano del Capo, lo chiarisce perfettamente. «Il progetto è ancora in fase di definizione. La residenza ha un tema chiaro: le terre estreme. Ho pensato allora di lavorare sulle ferrovie Sud Est, essendo la sede della residenza nell’ultima stazione ferroviaria d’Italia al secondo piano. I vagoni lì sono molto piccoli e hanno fra i 16 e i 17 finestrini, esattamente quanti frame al secondo ha bisogno l’occhio umano per avere un’immagine fluida del movimento. Vorrei quindi stampare sui tendaggi dei finestrini 16-17 frame di un video sull’Africa preso dall’Istituto Luce. Il video, realizzato per un cinegiornale, è ripreso da dentro un treno durante l’inaugurazione della ferrovia dell’Oltre mare pugliese. L’idea è quella di un’intermittenza fra un’immagine fissa di un video, che in realtà è in movimento, e un’immagine che sarebbe fissa se solo il treno non si muovesse. Viene a realizzarsi un palinsesto intermittente con diverse temporalità a confronto: tende chiuse fermo nel passato, tende aperte ti muovi nel presente». Da sempre uno dei compiti dell’artista è esprimere il presente e Rinaldi riesce perfettamente nello scopo, nella rappresentazione di quest’interregno per dirla con Gramsci, di Retromania per dirla con Simon Reynolds, di Retrotopia per dirla con Zygmut Bauman. Del resto a fine conversazione sul registratore rimane solo la radio del bar di San Lorenzo. Passavano i Thegiornalisti. Tutto sembrava Rimini anni Ottanta, ma Cristoforo Colombo, siamo nel dannato 2017, quasi 2018.

BIO

1988
Nasce a Roma il 15 ottobre

2011
Inizia a lavorare all’archivio Szeemann per una mostra curata da Alessandro Castiglioni

2012
È assistente di Giovanni De Lazzari nei corsi triennali di Pittura alla Naba di Milano

2015
Diventa membro di Mnemoscape, un magazine online e piattaforma di ricerca che si dedica all’arte contemporanea e alle pratiche che riguardano l’archivio, la storia, la memoria

2017
È in residenza a Gagliano del Capo, in Puglia, per Ramdom con un progetto che coinvolge l’archivio Luce e le ferrovie Sud Est
Info: http://jacoporinaldi.tumblr.com

CIRCUITO CHIUSO. ESTRATTI DA HARALD SZEEMANN NEL SUO ARCHIVIO
Circuito chiuso. Estratti da Harald Szeemann nel suo archivio è il titolo completo del lavoro finalista al Talent Prize di Jacopo Rinaldi. L’opera si concentra sull’ultimo giorno di apertura dell’archivio di Szeemann a Maggia, in Svizzera. Tutti i documenti sono poi stati spostati al Getty Institute di Los Angeles. Foto, rilievi digitali e testi compongono l’installazione ogni volta presentata in forma e con materiali diversi. Il lavoro si concentra sul rapporto fra memoria e architettura, su come il modo di gestire questo spazio abbia influenzato la stessa pratica del famoso curatore. Spazio che lo stesso Szeemann chiamava fabbrica rosa, una metafora che chiarisce come il tutto era gestito come una catena di montaggio. E proprio come un puzzle vengono presentate le cornici che contengono i lavori di Rinaldi, questa volta composti, dice lo stesso artista «come fossero un’infografica».

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