Un dialogo tra pari

Il museo Canonica, nel cuore di Villa Borghese, è un raro e virtuoso esempio di casa-museo con al proprio interno anche una vasta esposizione di opere dell’omonimo scultore. Questa volta però le opere esposte hanno fatto posto ai lavori del un ”collega” svizzero Denis Savary (Granges-Marnand, 1981). Artista dal multiforme talento, le cui opere vanno dal disegno, alla scultura alla video art ma sempre con l’obiettivo di creare delle suggestive mise en scène in comunione e comunicazione con l’ambiente in cui vengono allestite. Savary ha soggiornato a lungo a Roma, con il fine ultimo di creare un progetto inerente agli spazi del museo con in più l’intento del curatore, Pier Paolo Pancotto, di creare un dialogo fra artisti stranieri e la dimensione museale e espositiva del nostro Paese. Cosa che, si sa, non sempre risulta facile, specialmente quando vi sono di mezzo enti pubblici come il museo in questione.

L’unione di queste volontà ha dato inesorabilmente frutto, l’esposizione (o meglio, la gigantesca installazione che prende tutto il museo, giardino compreso) è piuttosto sorprendente. Nonostante la diversità dei materiali, il medium che Savary sceglie per questo lavoro è la scultura, in ovvio dialogo con il suo ”ospite” Pietro Canonica. Una parola che può incoraggiare una lettura accattivante di questo progetto può essere fantasmata: termine chiave, a partire da Aristotele, che mette in luce la capacità dell’immaginazione di creare un’immagine a partire dalla percezione di qualcosa.

Aggirandosi fra gli spazi, anche quelli della casa, la cui ottima conservazione suggestiona la presenza in primis di Canonica, si avverte la presenza di elementi diversi: sono le opere di Savary che sfruttano l’ambiente per acquisire forza, suggestione, bellezza e anche ironia: forme indefinite seppur molto materiche camminano nella sala da pranzo e nel giardino, sculture senza volto sostano nella stanza da lavoro poggiandosi sulle sedie e i cavalletti. Una bambola-feticcio con uno sgargiante cappotto è seduta accanto al letto dove dormì lo scultore, come se la sua presenza immaginaria stesse dialogando con l’opera, al pari di una bambina che va a trovare un malato o un’artista dialoga con un suo collega.

Immediato il confronto e il riferimento degli opposti che vanno a rafforzarsi a vicenda: le opere di Canonica sono note per il loro iper-realismo nonché per l’espressività emotiva dei visi; le opere di Savary sono forme fantasmata senza viso e senza una apparente conformazione, dai colori sgargianti e dalla incalzante capacità mostrativa, senza risultare mai invadenti e che proprio per la perfetta sincronia del site specific riescono a divertire e catturare lo spettatore, facendo affiorare la loro profondità e l’intelligenza dei riferimenti a altri artisti italiani e internazionali, come Harp, Duchamp, Brancusi e Oldemburg. Un esempio è l’opera Balla,  cinque opere simili a tende da campeggio e che omaggiano l’opera Feu D’Artifice che costituì la scenografia dei Balletti Russi per Stravinsky. Il dinamismo del maestro futurista viene qui fatto ”accomodare” fra i cuscini del salotto ottocentesco, giocando sulla staticità ma allo stesso tempo sulla vitalità dei singoli pezzi.

Denis Savary vive e lavora a Ginevra e fra le ultime esposizioni si annoverano Lagune et autres poissons, Salle des Pas Perdus, Le Confort Moderne, (Poitiers, 2016), Jour Blanc, Centre Culturel Suisse, (Parigi, 2016), Neiges de Printemps, Mamco (Musée d’art moderne et contemporain) (Ginevra, 2015) oltre che tutto il lavoro sempre in collaborazione con Pier Paolo Pancotto e con l’Istituto Svizzero per il centenario DADA del 2016.

Fino al 29 ottobre; Museo Pietro Canonica, viale Pietro Canonica 2, Roma; info: www.museocanonica.it

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