(Monica) Cuoghi e (Claudio) Corsello sono un duo di artisti con base a Bologna, attivi a partire dagli anni Novanta come writers e street artist. La loro ricerca ha assunto negli anni forme e declinazioni molto diverse: dalla celebre Peabrain che svettava sui muri bolognesi, all’occupazione di complessi industriali abbandonati, che diventa anch’essa un atto artistico oltre che politico. Per il Macro di Roma realizzano qualcosa di ancora diverso: hanno esplorato e visitato i magazzini del museo, tirando fuori circa 200 quadri della stagione figurativa tra anni ’50 e ’60. Sono nomi ormai caduti nel dimenticatoio, sconosciuti ai più: Giovanni Acci, Mario Merletti, Francesco D’Onghia… I quadri, esposti come si usava nei musei ottocenteschi a coprire in lungo e largo tutte le pareti della stanza, danno subito una senso claustrofobico. Ad accentuare questa sensazione, dei neon posizionati in alcuni punti specifici, unica fonte luminosa della stanza, che permettono di vedere chiaramente le opere accanto alle quali si trovano e lasciano sprofondare nel buio le altre. A concludere l’istallazione una musica di sottofondo, un pianoforte e un basso, suonati rispettivamente da Cuoghi e Corsello. Il tutto crea un ambiente respingente, difficile, a tratti impossibile, da fruire e visitare, proprio all’interno di un museo, spazio concepito appositamente per essere guardato, esplorato, e in cui si cerca di rendere quest’esperienza il più efficace e piacevole possibile per il visitatore. Qui invece i due artisti sembrano voler negare tutto ciò che rende tale un museo: il buio rende impossibile vedere le opere, l’horror vacui della sala ne complica ancor di più la fruizione, la musica distrae.
Il comunicato stampa della mostra, con uno scritto dei due artisti, prova a venirci in aiuto e darci qualche coordinata: «La prima volta che siamo andati a Roma per vedere la sala che ci avevano offerto al Macro, siamo finiti in un cimitero enorme mentre ci instradavamo, sbagliando, dalla stazione Tiburtina all’albergo. Cipressi altissimi, pulizia, vuoto sonoro, felicità, appagamento, rovine, il tempo, qui più che in ogni altrove del soggiorno romano.Quando abbiamo guardato i quadri ci è venuto in mente il cimitero e pensandoli a tappezzeria in ogni muro della sala ricorda proprio un posto dove le anime persistono o sono di passaggio e dove il silenzio è sonoro. I fulmini poseranno sopra ai quadri distanziati, senza toccarli. Come una separazione di piani, violando il contatto e creando una distanza che lascia in pace le opere che riposavano nei magazzini del museo Macro. La luce dei fulmini si abbasserà quando il sonoro che stiamo preparando si alza e si alzerà quanto e quando più ci sarà il silenzio, rimarrà sempre comunque non sufficiente per vedere bene i quadri, sottolineando l’intimità della relazione come se guardassimo dei morti che appaiono solo in Rolando».
Rolando è il titolo della mostra, come lo zio di uno dei due artisti morto qualche anno fa.
Fino al 26 novembre, Macro, via Nizza 138, Roma, www.museomacro.org