Non avete mai sfogliato il nostro cartaceo? Per farvi recuperare abbiamo selezionato un pezzo dal numero #109. L’articolo è parte del focus dedicato ai rapporti fra arte e suono. Qui uno degli altri interventi della sezione.
Dice Thomas Köner: «Sono parecchio interessato all’interazione tra immagine e suono, per quanto paradossalmente sia cosciente che non esista nessuna relazione fra questi due elementi, che sono indipendenti e possono tutt’al più completarsi». L’incontro tra arti visive e suono è sempre in evoluzione. Cercando di comprenderne le ragioni o i possibili legami tra idiomi diversi, tramite il superamento di quelle che sono le regole di composizione del suono e dell’immagine, si possono citare alcuni autori borderline che esplorano il confine tra arte e suono per riflettere sul raggiungimento di una sensorialità totale e di una libera contaminazione. Muovendosi su diversi piani, la ricerca sonora transita attraverso vari ambiti: spazio, temporalità, percezione, materia, paesaggio, nuove geografie. Il rapporto tra questi elementi dà vita a indagini diverse. La relazione tra suono-oggetto-materia riconduce al lavoro di Roberto Pugliese (1982), in cui l’aspetto plastico e formale si collega allo studio sulla fenomenologia del suono, da lui inteso come «energia vitale che anima l’inanimato» che genera nuove coordinate percettive. Allo stesso modo, ricorrendo alla stimolazione sensoriale per mettere in discussione i limiti dei sensi e delle conoscenze umane, il collettivo italo-belga Void, composto da Mauro Vitturini (1985) e Arnaud Eeckhout (1987), attribuisce un’inedita natura agli oggetti, alle superfici e una nuova pregnanza a frequenze acustiche ordinarie di cui non abbiamo una reale conoscenza.
Meditare sull’arte visiva e su quella musicale cercando la giusta sintesi è la ricerca di Michele Spanghero (1979) che si avvicina alla Sound Art con un approccio multidisciplinare, spiega, «forma e contenuto non sono mai disgiunti». In un quadro più internazionale di sperimentazione tra musica, arte, scienza e tecnologia s’inserisce la figura del tedesco Carsten Nicolai (1965) aka Alva Noto. Cercando di dare forma visuale al suono, attraverso metodi matematici, crea delle strutture eleganti che evidenziano i limiti della percezione. Con lui ha collaborato, in diverse occasioni, Ryoji Ikeda (1966), autore giapponese che identifica in molti suoi lavori un paesaggio sonoro immaginifico. La dimensione acustico-visiva è presente in Riccardo Benassi (1982) e Claudio Rocchetti (1976) che fondano a Berlino il duo Olyvetty, progetto di environment audio visuale, e in Christina Vantzou, artista statunitense che lega la sua ricerca musicale a quella di artista visiva: «provo – dice Vantzou – le stesse sensazioni quando lavoro con la musica e con il video».
Tra le più interessanti indagini artistiche che collegano invece il suono all’oggetto e alla materia c’è sicuramente quella di natura ibrida di Matteo Nasini (1976), nella quale il suono, il sapere artigiano e la tecnologia si fondono in un mix di ricerca che mira all’indefinito tra infrasuoni, onde sonore e cerebrali, manufatti e sessioni d’ascolto. Creare degli spazi e delle architetture sonore, luoghi in cui entrare e da esplorare acusticamente è l’obiettivo dello svizzero Zimoun (1977) che realizza composizioni di forte impatto cinetico evidenziando l’espressività del suono analogico e la forza visiva del meccanismo creato. Attribuire una dimensione corporea al suono è il lavoro di Emiliano Maggi (1977): le sue sculture/microfono in ceramica, presentate ad Artissima 2016, appaiono come resti della sua attività performativa. Sulla coordinata suono – ambiente – percezione s’inserisce invece il lavoro di Fabio Perletta (1984) che crea spazi di ascolto immersivi che coinvolgono l’ascoltatore a sperimentare stati intimi e meditativi. Fondatore dell’etichetta discografica Farmacia901, utilizza il suono come veicolo per l’indagine concettuale e la stimolazione sensoriale spesso esplorando una dimensione installativa.
Utilizza il suono, la luce e lo spazio come catalizzatori per focalizzare la consapevolezza sul momento presente e alterare la percezione del tempo, lo statunitense Yann Novak (1979) che nei suoi interventi architettonici, diffusioni sonore, installazioni audiovisive e performance si fa portavoce di una forte estetica minimalista. Sulla West Coast troviamo anche Richard Chartier (1971), fondatore della storica etichetta discografica Line, figura chiave del riduzionismo sonoro, che esplora le interrelazioni tra natura, spazio, silenzio, attenzione, percezione e atto di ascoltare se stessi, in performance presentate in tutto il mondo. Una rete di relazioni e scambi tra Stati Uniti ed Europa ci riporta alla già nominata Farmacia901 che ha promosso il progetto Quark: How Does The Invisible? coinvolgendo artisti internazionali e italiani, tra i quali Francesco Fonassi (1986) che da sempre indirizza la sua ricerca verso una personale teoria del suono e delle sue conseguenze. Sono immagini non visibili, inafferrabili, intangibili quelle che invadono l’ambiente e con le quali Fonassi crea percorsi organizzati dal suono.
In questa direzione procede pure Nicola Ratti (1978) focalizzato sulla sperimentazione analogica, il sound design e le installazioni sonore oltre che sugli sconfinamenti sempre più presenti nel mondo dell’arte visiva contemporanea, ponendosi in dialogo con essa. La forte natura aggregativa del suono crea un terreno comune auditivo-partecipativo in cui l’esperienza del sentire si fonde con la riflessione sul fare artistico. Di ambiente culturale, sociale e politico e dei linguaggi che lo influenzano parla Riccardo Giacconi (1985) che con il collettivo Blauer Hase, ideatore del festival Helicotrema, mira a produrre nuove forme di fruizione culturale e occasioni di ascolto site-specific. Per Nicola Di Croce (1986), membro di Archivio Italiano Paesaggi Sonori, l’esplorazione del rapporto suono – paesaggio – campo d’ascolto è intesa come scoperta inedita di luoghi liminali, di aree marginali, soundscapes, in cui il manifestarsi di suoni spontanei diventa occasione di ricerca tra suono e territorio. La pratica del field recording permette la composizione di un linguaggio acustico specifico: attraverso il frammento si ridefinisce il contesto spaziale.
Per Miguel Isaza (1989) alla registrazione sul campo segue un’elaborazione diretta in loco, nel tentativo di annullare le distanze temporali tra le due fasi, in un gioco di composizione e improvvisazione. Elaborare un suono che sia in grado di descrivere nella maniera più fedele possibile un paesaggio, assume una prospettiva del tutto particolare in Attila Faravelli (1976) che invita l’ascoltatore a immergersi totalmente nell’esplorazione dei suoni che la natura può fornirci: «Quello che ci circonda – afferma – è una specie di liquido multiforme che non è possibile sintetizzare». In senso ancor più visionario, secondo Thomas Köner (1965), artista tedesco da sempre interessato alla relazione tra immagine e suono: «In qualsiasi paesaggio fisico ti trovi – spiega – quest’ultimo si riflette sempre anche sul tuo spazio mentale».
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