Otros sonidos, otros paisajes

La mostra Otros sonidos, otros paisajes, a cura di Antonio Arevalo, addetto culturale dell’Ambasciata del Cile in Italia, e Leandro Pisano, curatore, teorico e ricercatore sonoro indipendente, fondatore di Interferenze New Arts Festival e del progetto di residenza artistica sonora e rurale Liminaria, è in corso al Macro di via Nizza di Roma. Il suono diventa il mezzo per raccontare la cultura e la geografia del Cile. Il suono è presente e etereo allo stesso tempo, è invisibile ma percettibile in una dicotomia affascinante. Nel secolo scorso John Cage ne ha modificato l’aspetto creativo, aprendo così le porte all’arte del suono nella contemporaneità. Così il Cile viene mappato, indagato, scomposto e ricomposto, celebrato e scandagliato, da un’arte, quella sonora, dalle infinite declinazioni.

La sound art diventa una sorta di ponte con la nostra esperienza spaziale, dove il tempo del suono si coalizza con lo spazio geografico. Ad accoglierci appena arrivati c’è l’opera Antartica 1961-1996 di Alejandra Perez Nuñez dove l’impercettibile e l’invisibile diventano sostanza: l’artista ha registrato in diverse parti del continente suoni a bassissima frequenza sotto il mare e nell’atmosfera, e provenienti dai minerali che sono diventati radioattivi dopo che fino al 1996 vi sono state ospitate attività nucleari e militari. Tutti questi suoni sono impercettibili all’uomo. E come li ha manifestati? Attraverso una mappa della penisola antartica collegata a sensori e interattiva, questi sensori sono a loro volta collegati con un monitor su cui scorrono le immagini di documentazione di tutto il processo di realizzazione dell’opera. L’opera è prettamente basata sull’ecologia perché pone l’attenzione sul naturale, sull’uomo e su come l’uomo stia cambiando la natura.

Un lavoro che, pur nella sua diversità, perché concentrato sulla mappatura geografica, ha punti di contatto con Antartica, è Atacama 22° 54’ 24’’ S, 68° 12’ 25’’ W di Fernando Godoy. L’artista ha costruito la sua geografia del deserto dell’Atacama registrando durante il suo viaggio in quel luogo i suoni provenienti da vari contesti che vi si trovavano, come un edificio, le rotaie di un treno, una miniera, che sono diventati parte del deserto come se ci fossero sempre stati, come se creassero la sua geografia, ma ha registrato anche i rumori della sabbia, del vento che costituiscono la geografia naturale del deserto, nel dialogo che si instaura, anche qui, fra uomo e natura. L’opera si presenta come una mappa tracciata sulla parete che ripercorre il viaggio dell’artista cui sono attaccate cuffie che trasmettono il sonoro.

Naturalmente in questa mostra esiste anche l’elemento acquatico, che aiuta a completare l’indagine geografica: l’artista Claudia González Godoy attraverso l’opera Hidroscopia/ Mapocho dialoga con il fiume, appunto, Mapocho. L’artista raccoglie diversi campioni d’acqua in diversi punti del fiume. Quest’acqua viene messa in ampolle diverse a seconda del luogo di provenienza rispetto al corso del Mapocho. Le ampolle sono rovesciate, inserite in una scultura lignea e messe perpendicolarmente a una scheda elettronica che, collegata con una cassa, produce il suono ogni volta che da un’ampolla cade una goccia. Tutto ciò riflette la geografia del fiume che cambia a seconda dei territori che attraversa dove c’è anche la presenza umana. Ad accompagnare le sculture delle stampe laser che riprendono il risultato delle gocce sulle schede elettroniche. In un’altra sala, più evocativa, si trova Conferencia de Pàjaros Cantores di Sebastiàn Jatz. Opera realizzata durante la sua residenza artistica a Casa Poli, Coliumo, in Cile, nel 2016. Il principio è quello dell’arpa eolica che utilizza per celebrare Violeta Parra, poetessa e cantautrice cilena, che nelle sue composizioni cita e concretizza paesaggi diversi del territorio cileno. È un’opera in collaborazione con bambini che insieme all’artista fischiano le canzoni della Parra, il risultato è quasi astratto. L’opera appare intrisa di poesia, mentre visivamente si presenta con una leggerezza che sussurra all’intuito: una chitarra emette i suoni dei fischi dei bambini e dell’artista, mentre si trova sospesa grazie a corde d’arpa.

Infine, altrettanto evocativa è Lenguas Locales di Rainer Krause dove parla Cristina Calderòn l’ultima donna, oramai morta, che conosceva la lingua yàgan, idioma indigeno della costa meridionale del Cile fortemente colonizzata nel secolo scorso. L’opera era già stata presentata alla Biennale di Venezia del 2015. Ora viene esposta in una versione completata da registrazioni fatte in luoghi legati alla storia del popolo yàgan che sono stati snaturati o che subiscono un’occidentalizzazione involontaria: si sente ad esempio il rumore di un aeroplano. Da questa panoramica sulla sound art cilena si possono arguire suggestioni delicate che producono effetti incisivi. La mostra è prodotta  dall’Ambasciata del Cile a Roma e da Interferenze New Arts Festival, e realizzata in collaborazione conTsonami Arte Sonoro e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

Fino all’11giugno, Macro, via Nizza 138, Roma. Info: www.museomacro.org

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