”La relazione di appartenenza è quella relazione fondamentale che sta alla base della definizione di insieme: essa cattura una proprietà che lega ciascun elemento all’insieme a cui appartiene. Appartenenza, dunque, come legame tra singole entità e mai come forma di proprietà. Attraverso Relazione abbiamo perseguito l’idea di abitabilità dei luoghi come possibile attivazione di relazioni inesplorate, alla costante ricerca di nuovi insiemi semantici”.
La citazione di Pierre Dupont racconta in modo chiaro e delicato il concept della mostra Relazione di appartenenza da lui curato. Esposizione conclusiva di un lungo progetto, che rimane aperto fino al 9 aprile a Milano. Il progetto, durato sei mesi, ha visto la partecipazione di giovani artisti italiani alle prese con il desiderio di esplorare nuove possibili forme di appartenenza, della ricerca artistica e curatoriale, a un luogo sconosciuto ed estraneo, sotto la guida del perfetto ”Signor Chiunque”ovvero Pierre Dupont (un progetto di Giulia De Giorgi, Michela Murialdo, Giovanni Paolin, Roberta Perego, Davide Spagnoletto), identità adattabile che persegue la strada dell’accessibilità e della partecipazione, secondo una pratica curatoriale inclusiva.
Le ricerche degli artisti selezionati, tutti nati sul finire degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, toccano vari ambiti e si muovono in diverse direzioni creando un panorama pressoché completo della situazione artistica italiana contemporanea: Pasquale Loiudice incentra la sua ricerca sul rapporto tra architettura e rappresentazioni contemporanee; Guglielmo Poletti ricerca nel suo lavoro l’essenza attraverso un approccio costruttivista elementare; Giulia Sacchetto e Annamaria Maccapani privilegiano l’utilizzo di materiali dismessi o dimenticati sui quali intervengono dando loro nuovo utilizzo; Marco Secondin genera immagini attraverso le contraddizioni del linguaggio, mediante un agire che tende al sonoro; Livia Sperandio è interessata alla fotografia come strumento di indagine concettuale e allo studio dell’immagine attraverso i differenti livelli di cui si compone; il collettivo Cren Design, infine, grazie alla sua pratica multidisciplinare, collabora con realtà culturali per le quali progetta identità visive e nuovi modi di raccontarsi.
Per Relazione di appartenenza, il gruppo è stato invitato a frequentare e a vivere la Bottega e l’Archivio Giovanni Sacchi, due luoghi fondamentali per la storia del design italiano, entrando in dialogo con le memorie che hanno trovato conservate al loro interno. L’archivio, ospitato all’interno di Spazio MIL a Sesto San Giovanni, raccoglie un’ampia quantità di artefatti e documenti a disposizione di ricercatori e studenti. All’interno trova ubicazione anche la bottega, riallestimento dell’originale di via Sirtori e adibito ad area attrezzata per lo svolgimento di workshop e dimostrazioni. Crocevia di esperienze, incontri e sperimentazioni che hanno contribuito al successo del Made in Italy nel mondo, la bottega milanese di Giovanni Sacchi (Sesto San Giovanni, 1913 – 2005) è stata il luogo nel quale Sacchi realizzava i modelli degli oggetti di design che hanno lasciato un’impronta incisiva nella storia della disciplina. Uno spunto di riflessione durante i mesi di progetto è stato proprio il concetto di modello, allo stesso tempo astrazione e materializzazione di un’idea, oggetto che nasce con la finalità di diventare altro da sé. Gli artisti sono stati invitati a riflettere sullo spazio e sul tempo esistenti tra intuizione e realizzazione materiale di un’opera, con uno sguardo alla figura del modellista che, trasferendo un’idea in forme compiute, costituisce il ponte tra visione e produzione.
Incuriosisce come storie così differenti siano riuscite a dialogare con il patrimonio, sia fisico (l’archivio) che della memoria ( la bottega), di Giovanni Sacchi e come questa eredità sia entrata nelle identità dei soggetti coinvolti, magari cambiandole. Dupont racconta che il progetto, così come lo stesso collettivo, è nato con l’idea di creare un network tra persone e luoghi (siamo cinque curatori, sei artisti e un collettivo di comunicazione tutti provenienti da città diverse) così come tra identità e storie. L’archivio è diventato una sorta di geografia condivisa, un territorio comune di ricerca; archivio come spazio di studio ma anche di confronto tra tracce sedimentate (modelli, disegni, progetti, fotografie ecc.) e la ricerca dei singoli artisti. La bottega diventa, invece, spazio espositivo e luogo di convivenza tra queste identità: il percorso espositivo è pensato per creare una valorizzazione reciproca tra il lavoro inedito degli artisti e le preesistenze qui conservate. La parola relazione esprime proprio questa volontà di disegnare attraverso il contributo dei singoli un nuovo campo semantico, di condivisione, di appartenenza appunto se solo pensiamo alla teoria degli insiemi.
Un’indagine a tutto tondo, quella di Dupont e degli artisti chiamati a lavorare, raccontata non solo attraverso la mostra allestita nello spazio MIL, ma anche tra le pagine di una pubblicazione, diario dei mesi trascorsi insieme. «La pubblicazione è a cura di Cren Design, studio di comunicazione che ha seguito e segue tutta l’identità visiva di Dupont, di questo Signor Chiunque sinonimo di possibilità e partecipazione – spiega Pierre Dupont -–. Cren Design ha sviluppato con noi, e con gli artisti, un’idea di pubblicazione capace di raccontare i sei mesi di progetto, dando più spazio al processo di realizzazione dei singoli lavori che al risultato. Come la mostra anche il concept del catalogo guarda alla figura del modellista che, trasferendo un’idea in forme compiute, costituisce il ponte tra visione e produzione. Tutto il progetto abita esattamente questa sospensione tra l’idea e l’oggetto, tra il pensiero e le mani».
Relazione di appartenenza ospita anche l’incontro con Cristina Baldacci, autrice del libro Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea, edito da Johan&Levi, nel quale si ripercorre la lunga e articolata storia dell’interesse per la pratica archivistica ricomponendo il ricco mosaico dei ruoli e dei significati che l’archivio ha assunto nel corso del tempo e la sua rilevanza come opera d’arte, quindi come sistema classificatorio atipico e, per certi versi, impossibile.