Spazzatura a regola d’arte

Un’atmosfera surreale si respira al museo Macro, dove la mostra di Francesca Leone indaga profondamente il volto più crudo della quotidianità, quello che ci vede protagonisti di un continuato esercizio di deterioramento del presente e di noi stessi. E chi, se non un artista, può provare a rappresentare questa realtà in tutta la sua drammaticità? La Leone ci è riuscita. Nella sua ultima esposizione dal titolo Giardino, visibile fino al 26 marzo, ha raccolto i residui di una società divorata dal consumismo, li ha “catalogati”, li ha contestualizzati e, infine, li ha ripresentati al pubblico sotto forma di opera d’arte, mettendolo di fronte al suo senso di responsabilità. L’opera centrale del progetto è una grande installazione composta da diciotto griglie metalliche, raccolte in una “corteccia” di plexiglass, nelle cui fessure sono collocati i segni del passaggio dell’Uomo: mozziconi di sigarette, plastiche, sassi, carta, chiavi, rifiuti e monete. I classici rifiuti urbani buttati per terra nella convinzione che la loro minutezza sia irrilevante ai fini della conservazione dell’ambiente. Invece la Leone ha avuto l’intuizione geniale di mostrare il fenomeno in tutta la sua imponente gravità. Tanti piccoli gesti che innescano un unico grande allarme. L’artista ha affondato così le mani nel “fango” per conto della società, tirandone fuori un messaggio di grande attualità e prorompente importanza. Il tema della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, a lei da sempre molto caro, riaffiora così nel lavoro che ha battezzato un cambio di rotta nella dialettica dell’artista. Le sue grandi tele così suadenti e immortali, impreziosite da una minuziosa ricerca del dettaglio, hanno fatto spazio a una poetica dominata dal concetto. Unico punto in comune tra le due fasi, certamente, resta la magistrale manualità che accompagna ogni suo gesto.

Questa grande opera arriva a Roma dopo essere stata esposta alla Triennale di Milano nel 2015. Ma la mostra è arricchita da tre particolari, di forte impatto emotivo: tre grandi lastre in cemento armato, dalla superficie irregolare e rovinata, da cui si intravede la struttura in ferro arrugginito. “Anche i cementi – spiega Danilo Eccher nel testo curatoriale scritto per la mostra – raccontano di un paesaggio urbano alla disperata ricerca di un equilibrio fra lo scorrere aggressivo del tempo e il bisogno di orientare i cambiamenti, guidarli nelle scelte. La volontà di Francesca Leone di ampliare la recita dell’arte a due sceneggiature differenti – continua – due voci distinte che affrontano lo stesso motivo, due sguardi vicini rivolti allo stesso corpo sociale”. Il tutto è presentato con il consueto spirito ottimistico dell’artista, che sceglie un titolo molto evocativo e rasserenante per la mostra: Giardino. «Già nei miei ritratti sottolineavo la carenza di valori nella società contemporanea – spiega – raffigurando le icone contemporanee che hanno segnato e stanno segnando la storia. Ma lo scopo era sempre quello di innescare una reazione positiva, uno slancio di forza interiore, che spinga l’uomo a rimettersi in gioco. Nel nuovo lavoro a fianco al messaggio di denuncia ho voluto infondere speranza. Questo “Giardino” urbano, per me, con tutta la sua crudezza, rappresenta uno stimolo al cambiamento”. Tutto, dalle opere all’allestimento, fino alla ricerca nell’illuminazione, suggerisce una profonda riflessione. In fondo, anche questo lavoro, incastonato nella cornice della Project 2 del Macro, è un grande ritratto, coerente con il percorso dell’artista. Un ritratto della quotidianità, dei nostri difetti, della nostra incuria e del contesto in cui viviamo. Un ritratto di un mondo in rapido cambiamento, abitato da uomini che, al contrario, tardano a cambiare, rimanendo legati alle vecchie abitudini. Un ritratto, infine, di quegli ultimi residui di un individualismo spietato, destinato a farsi da parte nella società contemporanea, per lasciare la scena all’era della condivisione e di un ritrovato senso del bene comune. 

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