Polline è una di quelle gallerie che non esistono fisicamente. Ha un programma, una serie di artisti e opere in vendita ma la sua sede è nell’etere. Nata, dedicata e pensata per i giovani artisti, si occupa di promuovere la loro attività sul web, rendendo di gran lunga più semplice e veloce la vendita dei lavori e puntando a un collezionismo più democratico e accessibile. Presente dal 2010, è riuscita nel tempo a innescare relazioni dinamiche tra artisti, collezionisti, galleristi, università, musei e fondazioni, grazie a un concept ben preciso. Ogni artista, prima della pubblicazione del proprio lavoro sulla piattaforma, è invitato a decidere a quale progetto di utilità sociale destinare parte del ricavato dalla vendita della sua opera. Un’opera che non esiste. Cioè l’acquirente si aggiudica la proprietà del file digitale e il suo certificato di autenticità ed è poi libero di decidere se materializzarla o meno. Un meccanismo che porta a ragionare su come le dinamiche di produzione e fruizione dell’arte si siano profondamente modificate negli ultimi anni e che lascia intravedere quali saranno le possibili evoluzioni in un futuro non troppo lontano. Con Amalia Iavazzo, content strategist & p.r. di Polline e Fabrizio Lipani, project manager abbiamo provato a immaginare cosa potrebbe cambiare in un ipotetico 2036 nel mondo dell’arte e nel suo mercato.
In base alla vostra esperienza, è possibile pensare a uno spostamento definitivo delle attività artistiche sul web da qui a 20 anni o più?
«Forse non definitivo ma fortemente influenzato dal web. Per quanto riguarda la compravendita di opere d’arte ad alta quotazione probabilmente i galleristi continueranno ad essere un punto fermo per i collezionisti. L’attività di quotazione e valutazione del potenziale delle opere sarà inevitabilmente affiancata da tecnologie che combineranno dati globali relativi alla storia dell’arte e trend di settore con informazioni legate all’artista e suggeriranno al gallerista su quali opere esistenti o di prossima realizzazione puntare, con maggiore probabilità di successo. Per quanto riguarda invece la vendita di opere a medio-bassa quotazione, potremo assistere a una totale disintermediazione. Gli artisti provvederanno da sé a creare una propria community online tramite social network notevolmente evoluti rispetto agli attuali. La relazione artista-collezionista sarà “aumentata”: la community parteciperà e interagirà quotidianamente con il lavoro. Diversi dispositivi e tools dell’artista saranno connessi a internet notificando ai seguaci lo stato di realizzazione dell’opera e ne permetteranno l’acquisto in qualsiasi fase».
«Le opere di new media art, quali fotografia, grafica e, in particolare, suoni, video-arte, projection mapping, arte generativa e così via, saranno quelle che rivoluzioneranno il concetto di collezionismo. I “nuovi” produttori di contenuti artistici digitali non baseranno la loro carriera esclusivamente sul concetto di vendita di pezzi unici. Utilizzeranno internet per diffondere quanto più possibile il loro messaggio, spesso gratuitamente. Sarà il successivo lavoro su commissione, la sponsorizzazione di contenuti, il coinvolgimento da parte di grandi aziende nella realizzazione di un progetto (design, arredamento o abbigliamento) o la cessione dei diritti per finalità commerciali, che darà loro una fonte di guadagno».
Un nuovo modo di intendere la galleria, un po’ come fa Polline, insomma. Ma avremo ancora bisogno di gallerie? Come saranno le mostre?
«In passato le mostre erano l’unico modo per entrare in contatto con l’opera d’arte. Oggi, versioni digitalizzate di opere fisiche, non ne sostituiscono la fruizione reale, anzi ne favorisco la voglia di vivere l’esperienza diretta con l’opera all’interno di un museo. Durante la visita sarà normale in futuro ricercare e visualizzare informazioni “aumentate” legate alla mostra. Le opere già prodotte digitalmente, come fotografie, video, grafiche, suoni, testi, potranno essere fruite pienamente mediante mostre digitali che poco hanno a che vedere con la trasposizione virtuale di una visita in galleria (nessun giro virtuale o simili). Allestimenti o eventi tradizionali continueranno a esistere ma saranno un momento di aggregazione e approfondimento sul lavoro già fruito precedentemente, con il coinvolgimento diretto dell’artista, del curatore e del critico. Ulteriore riflessione va fatta sulla fruizione di opere live. Le performance e le opere d’arte generativa che utilizzano fattori legati al “qui ed ora”, si serviranno di internet per farne godere istantaneamente. Gli artisti immagineranno opere fruibili da qualsiasi parte del mondo ma in un momento ed uno spazio virtuale specifico, che può essere un sito web, un social network o una posizione gps mediante realtà aumentata».
In tutto questo, quali sono gli strumenti tecnologici che giocheranno un ruolo chiave nello sviluppo di questi processi?
«Quanto detto sarà ovviamente possibile solo se la tecnologia sarà concepita come un mezzo a supporto di un’integrale trasformazione del sistema dell’arte. Sarà sempre il pensiero dell’artista a guidare tutto. Sarà lui che deciderà quale mezzo è più appropriato per la realizzazione e la fruizione della sua opera. Ogni intervento tecnologico top-down fallirà nel suo intento. Gli artisti eviteranno tecnologie proprietarie e preferiranno mezzi democratici ed accessibili sia per la produzione che per la tutela dei propri lavori. Crediamo che la blockchain giocherà un ruolo chiave nello sviluppo di tutti i processi sopra descritti. Attraverso un deposito di dati distribuito e duplicato in migliaia di nodi al mondo, sarà protagonista nella compravendita di tutte le opere d’arte. Oggi la blockchain viene proposta da Polline anche per la tutela preventiva dei diritti d’autore dell’artista sulle opere di new media art, in modo democratico ed indipendente. Questo permetterà agli artisti di utilizzare serenamente il web senza alcun timore di perdere la paternità sull’opera e favorirà la creazione dello scenario da noi immaginato per un ipotetico 2036».
Info: www.polline.org