Ecco come sarà la Quadriennale

Si è svolta stamattina alle 11:00 la Conferenza stampa della sedicesima edizione della Quadriennale che, dopo 8 anni di silenzio, torna a metà ottobre a Palazzo delle Esposizioni, la sua sede storica. Ad aprire la presentazione il Presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma, Franco Bernabè che, oltre a sottolineare l’importanza di questa rassegna che rimette al centro la creatività nazionale, ha introdotto la novità di formato con cui si presenta: 10 curatori, 10 progetti e circa un centinaio di artisti. A seguire, il commissario gestione provvisoria Azienda Speciale Palaexpo, Innocenzo Cipolletta che, dopo aver ringraziato la squadra di Bernabè e il ministro Dario Franceschini che ha permesso la simbiosi tra Quadriennale e Palazzo delle Esposizioni, ha anche annunciato le novità che interesseranno le attività di quest’ultima: «Vorrei dedicare uno spazio ai giovani artisti romani, in modo che possano a rotazione esporre le loro opere con continuità». La parola poi passa a Luigi Fassi, primo dei curatori che, oltre a presentare il proprio progetto, fornisce «un antipasto» della rassegna: «Altri tempi, altri miti, il titolo della mostra, è una suggestione che viene da un libro, un diario. Un weekend postmoderno, di Pier Vittorio Tondelli, che racconta la cultura e l’arte dell’Italia negli anni 80. Partendo da questo, si è creata una sintesi felice e produttiva di 10 curatori che hanno deciso di confrontarsi con il passato prossimo della cultura e storia italiana per distanziarsene e raccontare il presente. Abbiamo dovuto inventarci una modalità che non esisteva e si è creato un franco confronto con la committenza, in cui sono state accolte eventuali controproposte e ci sono stati forniti spunti interessanti» 

In «rigoroso ordine alfabetico», sottolinea Bernabè, si alternano poi i diversi curatori a spiegare le proprie sezioni. Simone Ciglia e Luigia Leonardelli hanno deciso di chiamare la loro mostra “preferirei di no”, prendendo spunto dalla celebre frase ispirata a Bartleby lo scrivano di Melville per esprimere un’attitudine diffusa tra gli artisti degli ultimi anni: «una negazione non contestataria ma per sottrazione». Segue Michele D’Aurizio con la sua sezione Ehi Voi che «propone un paesaggio di volti e corpi, un attraversamento dell’arte contemporanea attraverso la ritrattistica, un genere incentrato su una riflessione del sé attraverso l’atto del fare arte». Ancora Fassi racconta «La democrazia in America, titolo ispirato al celebre diario di viaggio Toqueville del 1835 alla scoperta di una nuova realtà politica: democrazia. L’America – aggiunge Fassi – diventa lo spunto per parlare della situazione italiana e, non a caso, Toqueville compose il saggio dopo un viaggio in Sicilia in cui ripensò all’ancien regime in termini più egualitari». Per Simone Frangi, invece, è interessante analizzare i progetti di artisti che negli ultimi cinque anni hanno integrato la prassi di una ricerca nei loro progetti. «I contributi – spiega – non saranno oggetti, ma ricerche, in collaborazione con studiosi di diversi campi disciplinari». Sullo stesso filone concettuale, l’intervento di Luca lo Pinto che, per la sua sezione parte dal titolo di una mostra di Marisa Merz, Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti. «Nella mia mostra ci saranno sei artisti e un poeta come padrino, Emilio Villa, il personaggio più eretico della cultura italiana. Ho deciso di partire dall’impossibilità di storicizzare il presente, dal trauma dell’oggetto, da un’impostazione non antropocentrica. In quest’ottica saranno gli oggetti con occhi a guardare lo spettatore e non viceversa. La sala sarà un immaginario museo archeologico del presente, teatrale, dove le opere sono illuminate e esposte come artefatti in una temporalità indefinita».

Diversa l’idea di Matteo Lucchetti, che con De rerum rurale fa il verso al De rerum natura lucreziano, per parlare del paesaggio italiano e delle pratiche artistiche che lo attraversano: «È un attraversamento – spiega – in senso sociale e antropologico, oltre che fisico. Lucrezio è il punto di partenza per diverse domande: Cosa vuol dire parlare di natura, soprattutto ai giorni nostri in cui la natura sta pagando un prezzo molto alto? Il punto di arrivo dell’indagine potrebbe essere invece la direttiva della Comunità europea che chiede l’azzeramento della cementificazione dei terreni agricoli entro il 2050».
A presentare una proposta alternativa alla mostra Marta Papini che decide di optare per un palinsesto di 7 artisti per 7 eventi: «Non mi ritengo un curatore in senso stretto, quindi ho voluto lasciare spazio alle opere con un calendario di eventi dilatati in un arco temporale oltre che spaziale. Ci saranno artisti che proporranno talk, altri proiezioni video, altri studio visit, e così via».
Sulla stessa linea Cristiana Perrella: «Anch’io sono partita dal desiderio di lasciare spazio agli artisti e alle loro opere. La seconda volta è il titolo della mia sezione, in cui rientrano cinque artisti nati tra il ’66 e l’81. Mi sono concentata su lavori che vedono l’ultilizzo di materiali portatori di narrazioni precedenti, che gli artisti poi attivano in combinazioni impreviste. Un’arte di frammenti, residuale, della crisi, si potrebbe dire. Tra gli artisti Favaretto, Vezzoli, Alek O, tutti con uno sguardo attento verso il passato». Domenico Quaranta invece si presenta «con una mostra dal titolo Saiforia, un neologismo cacofonico tratto da un testo di Hans Ulrich Obrist. La mia rassegna sarà una guida all’estremo presente di artisti che arrivano fino all”89», mentre Denis Viva ha deciso di lavorare «con otto artisti che hanno scelto di vivere in luoghi periferici dell’Italia, in cui ci sono parabole discendenti e i flussi di capitale non arrivano».

Conclude la conferenza l’intervento di Dario Franceschini, teso a ribadire la necessità di trovare una continuità per la Quadriennale con eventi che non siano circoscritti soltanto all’evento stesso: «Questa quadriennale si inserisce in un percorso che dobbiamo seguire come paese. È l’esempio della possibilità italiana di tutelare il patrimonio del passato e allo stesso tempo di investire sul contemporaneo. È con soddisfazione che osservo l’età e le idee di questi curatori che incarnano la straordinaria potenzialità del nostro Paese».

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