Stamen Papers

«Bastoni e pietre mi potranno rompere le ossa, ma i nomi non mi faranno mai del male». Con questa citazione profetica Micheal Dean, nominato al Turner Prize 2016, presenta sé stesso e il suo lavoro in occasione di Stamen Papers, inaugurata alla Fondazione Giuliani di Testaccio e visitabile fino al 22 luglio. Dean è un artista inglese (1977) che vive e lavora a Londra e la cui visione artistica si compone di uno stretto legame fra la parola scritta, o altre forme di comunicazione, e il rappresentarla in modi creativi e efficaci, anche in virtù di una solida ammirazione verso il mondo naturale. Nei suoi lavori vengono utilizzati diversi mezzi espressivi ma la scultura risulta quello più eloquente per la sua forte componente materica e l’inevitabile presenza tridimensionale. Questo è per Dean ciò che rende le sue opere attive nella compresenza di arte, pubblico e ambiente e una delle particolarità di questi lavori è che essi vanno quasi sempre letti.

Il progetto nasce a Leeds (Inghilterra del Nord) nel 2012 all’Henry Moore Institute e in quell’occasione i singoli pannelli di cemento che compongono oggi l’installazione principale, erano disposti lungo il muro; dopo l’acquisto da parte della Fondazione, questi ultimi sono stati ricomposti all’interno dello spazio a formare l’opera principale, una sorta di enorme filamento con tanto di antera che idealmente crea uno stame di carta. Se lo stame in botanica è la parte filamentosa del fiore che contiene il polline all’interno della corolla e che costituisce quindi la parte iniziale di un processo di riproduzione naturale, qui allo stesso modo la loro componente cartacea è l’inizio metaforico di una vasta comunicazione scritta, destinata a diffondersi nel mondo e in cui i fogli sono paragonati alle spore del polline. Il progetto parte dall’Inghilterra per poi crescere e diventare una pianta completa, di cui i fogli sono stati tutti scritti dall’artista negli ultimi anni: si tratta di poesie, descrizioni, appunti, schizzi e testi di altre mostre. Viene rappresentata la sbocciatura di quello stame in elementi che tutti possono leggere e interpretare in modo libero.

I testi-scultura rendono il pubblico partecipe della sua visione e della sua carriera e i luoghi dove essi fioriscono sono inusuali, così come il polline cade senza uno schema, per questo motivo alcuni fogli sono stati posizionati su di un angolo vivo piuttosto che sulla larga disponibilità delle pareti. «Volevo dare alle mie opere la possibilità di cambiare e mostrarsi – dice Dean – scrivere testi è una cosa che può fare chiunque, ma a volte non riescono a comunicare del tutto». A proposito di questo, all’interno dell’esposizione è presente anche un libro stampato solo con sagome di kalashnikov neri, posto in terra completamente strappato. In questo frammento d’opera la comunicazione è forte e puntata verso quello che per Dean è il male, la violenza, la guerra e la non democrazia, espressi in un modo semplice e eloquente. La forza della parola e della comunicazione verbale, iconica e materica sono per l’artista quanto di più efficace l’arte possa suggellare e la frase citata da lui all’inizio come sorta di riassunto ideologico dimostra che per le parole, o in questo caso i nomi, vi è una assoluta fiducia, radicata nel tempo. Altre sue esposizioni da segnalare sono “HAHAHAHAHAHA” (2014), “Jumping Bones”, (2015), “Qualities of Violence” (2015) mentre è in preparazione una sua personale al Nasher Sculpture Centre di Dallas, Texas.

Fino al 22 luglio; Fondazione Giuliani, via Gustavo Bianchi 1, Roma; info: www.fondazionegiuliani.org

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