Vinyl In canvas è il titolo dell’ultimo lavoro di Alessandro Cremonesi, ex componente dei La Crus. Con questo album il musicista partecipa, nella sezione Arts & New Media curata da Caterina Tomeo, al festival Spring Attitude, il 20 maggio, dall’una di notte, negli spazi dell’Ex Caserma Guido Reni. Una chimica particolare unisce arte e musica, un disco che vuole essere un oggetto d’arte che fonde estetica relazionale e glitch music, che accoglie Masbedo e Eckehard Fuchs. Per prepararci al concerto abbiamo fatto qualche domanda all’artista.
Contrasto fra contenuto e contenitore. Come mai musica iper contemporanea è registrata su un vinile?
«L’idea era quella di un oggetto d’arte che potesse stare in una galleria. La copertina in canvas, il centrino realizzato da artisti visuali e senza il foro (in modo che il fruitore sia costretto a operare un atto violento sul disco) sono elementi fondamentali dell’opera e tali elementi erano possibili soltanto utilizzando un vinile 12” come supporto. La creazione musicale e quella del supporto sono cresciute di pari passo e in modo del tutto naturale».
Fennesz e il glitch in generale come timbriche sembrano essere stati un punto di riferimento per questo lavoro. È così?
«Sì, nelle timbriche il glitch è un punto di riferimento importante ma ancora più importante è stato il modo di mescolarlo in maniera ricorrente con suoni come quello della chitarra acustica. Credo che l’originalità del lavoro risieda nel fatto che la mia provenienza dalla canzone d’autore (coi La Crus) non sia stata messa da parte, l’attitudine melodica e la forma canzone sono in qualche modo sempre presenti. Mi piace pensare di poter formulare la definizione Glitch d’autore. Se l’opera si chiama Vinyl In Canvas, il titolo del Lp in essa contenuto è What We Talk About When We Talk About Art, What We Talk About When We Talk About Us perché il discorso è in continua oscillazione tra l’arte (Art&Society, C’mon Jeff Koons, Punk Picasso, i Masbedo che dichiarano Berlino città aperta) e quello più intimo (Bunnytown, Happiness vs. Pleasure) e poi ci sono i brani che posso stare da entrambe le parti come We Swallow the Infinite o Red Eyes. Una cosa molto interessante che è capitata è che alcuni fruitori di musica elettronica più rigorosa mi hanno detto che il mio gli sembra un disco di singoli! In realtà Fennesz non è uno dei miei riferimenti prediletti ma probabilmente per non rischiare di citare esplicitamente artisti come Alva Noto o Ryoji Ikeda ho finito per ritrovarmi involontariamente sul suo territorio».
Il frammento musicale è sempre più una costante nella musica contemporanea e questo lavoro non sembra fare eccezioni. Come mai c’è, se veramente esiste, questa tendenza?
«Nel mio caso è molto funzionale alla chimica tra suoni e parole. Le parole, che come ho detto hanno un ruolo molto importante in questo lavoro, sono state anch’esse scelte e utilizzate per frammenti. Red Eyes è il cut-up di un monologo da Who’s Afraid of Virginia Wolf recitato da Lea Mornar, Bunny tv3 sono una serie di frasi pronunciate/cantate da Hye Rim Lee e campionate. Anche in un brano come Art & Society che sembra più discorsivo, sulla voce di Carol Baker – presa da una sua conferenza – ho operato un intervento ritmico molto radicale tagliando tutti i silenzi tra una parola e l’altra facendo diventare il suo speech una sorta di rap. Di fatto è come se fossero centinaia di campionamenti messi in sequenza. Devo dire che lei ha dimostrato molta sensibilità apprezzando e approvando con entusiasmo il brano quando gliel’ho mandato, nonostante fossi per lei un perfetto sconosciuto».
Vinyl In canvas, già dal titolo unisce arte e musica. Puoi spiegarci che rapporto stringono in questo lavoro?
«Il lavoro vive di incontri e dell’entusiasmo di artisti che incontrandosi portano il loro contributo (in questo ha giovato molto l’esperienza fatta insieme a Lagash con Canzoni Invisibili, il lavoro uscito per Moleskine). Ci sono le voci di Hye Rim Lee (Corea del Sud, artista visuale che lavora a Auckland e a NYC), Eckehard Fuchs (Germania, pittore), Masbedo (Italia, videoartisti), Carol Becker (USA, Dean della Columbia University School of the Arts) e Lea Mornar (Croazia, attrice). Hye Rim Lee, Masbedo, Tamara Ferioli, Stefano Losi, Aron Demetz, E il Topo hanno illustrato il centrino del vinile visibile attraverso il foro nella copertina di tela. Il centrino d’artista non ha il foro al centro, come dicevo prima, per cui per ascoltare il disco è necessario operare una piccola violenza perforando il centrino col perno del giradischi. In questo modo ogni copia diventa ulteriormente unica e implica una partecipazione, una sorta di firma, da parte dell’acquirente, operando così un’incursione anche nel campo dell’estetica relazionale. Con alcuni di questi artisti la collaborazione è proseguita con la realizzazione da parte mia di soundscape per loro opere o performance e ne è nato uno scambio molto libero e proficuo in termini creativi».
Visto il tuo passato nella scena (anche) indipendente, come giudichi il panorama contemporaneo underground in Italia?
«In una fase in cui fare dischi non è più redditizio tutto diventa possibile e questo dovrebbe liberare molta creatività e in effetti nascono progetti molto interessanti, liberi dagli schemi. Uno di quelli che preferisco sono i Niagara di Davide Tomat e Gabriele Ottino. Stanno lavorando molto bene, il loro recente Hyperocean è un lavoro molto riuscito e promette sviluppi futuri notevoli».