Ha aperto a Milano FM Centro per l’Arte Contemporanea, un nuovo polo dedicato all’arte e al collezionismo e che si propone di raccogliere in un unico contesto, quello dello storico complesso industriale dei Frigoriferi Milanesi, tutti i soggetti e le funzioni connesse al collezionismo privato. Per raccontare e spiegare meglio la natura del centro è stato interpellato prima dell’inaugurazione ufficiale il direttore artistico di FM, Marco Scotini, curatore, critico d’arte e direttore del Dipartimento di Arti Visive alla Naba di Milano.
Cos’è FM Centro per l’Arte Contemporanea. Da dove nasce l’esigenza di aprire uno spazio di questa natura e perché proprio ora?
«Dopo aver aperto e diretto per anni la Naba ho pensato fosse arrivato il momento per aprire un centro espositivo di carattere nuovo, con una nuova mission e tale da raccogliere al suo interno tutta una serie di funzioni che oggi equivalgono all’intero sistema dell’arte contemporanea. Quando ho ricevuto l’invito di Elisabetta Galasso (CEO di Open Care) di riconsiderare gli spazi dei Frigoriferi Milanesi, ho pensato che tutta la serie di servizi che negli ultimi anni vi si erano depositati, necessitassero di una sorta di chiave di volta per chiudere la curva dell’arco. Ecco che grazie all’impegno del Gruppo Bastogi è nato FM Centro per l’arte contemporanea. Qualcosa di unico nel suo genere in Italia, che è possibile ritrovare in alcune realtà come il polo Lowenbrau di Zurigo o lo Schaulager di Basilea: un progetto ambizioso che pone l’idea di collezione (in un’accezione ampia) al suo centro».
Da cosa è nata l’ispirazione per quest’ impresa?
«Non c’è qualcosa di specifico che abbia presieduto alla concezione e alla struttura del centro se non che da un po’ di tempo ci siamo accorti della necessità di trovare uno spazio che potesse coniugare anche forme della produzione con esigenze della cultura in senso ampio. L’impressione che si può avere a Milano è che l’arte sia solo qualcosa di rappresentanza che arriva sempre per sancire e legittimare altro. A noi interessava creare qualcosa di mobile in cui la funzione artistica e quella intellettuale non sono separate dai loro concatenamenti di sperimentazione, di produzione e di valorizzazione. Non so perché nei musei e nelle mostre si faccia di tutto per isolare e astrarre le opere dai loro contesti propri. Ecco perché FM».
I membri del board di FM; a parte te e Grazia Quaroni, non sono di Milano. Allo stesso tempo, il tratto comune che lega le varie personalità sembra sia l’essere visionari. La collezione di Elena Righi sembra molto coraggiosa.
«La tua osservazione mi sembra molto interessante, perché mi rimanda a tutta una serie di rapporti internazionali che ho intessuto negli ultimi decenni. Per quanto mi riguarda, ho lavorato come curatore più fuori dall’Italia che all’interno del nostro paese e le persone che abbiamo scelto per l’advisory board sono caratterizzate, in un modo o nell’altro, da quest’attitudine visionaria, lungimirante e solo apparentemente utopistica. Mi vengono in mente alcuni casi in cui quest’attitudine è stata concretizzata dalle persone coinvolte. Prima di dirigere il Van Abbenmuseum, già nel 2000 l’esperienza di Charles Esche al centro d’arte contemporanea Rooseum si distingueva per l’approccio fortemente sperimentale nella relazione tra artisti e pubblico. Penso anche all’esperienza di Vasif Kortun, totalmente inedita per il contesto turco, di Platform Garanti, prima di inaugurare Salt. Oppure alle esposizioni di Hou Hanru sull’idea di città asiatica in Cities on the Move del ’97 o la sua sezione Zone d’Urgenza alla Biennale di Venezia del 2003. Mentre Grazia Quaroni è stata una delle prime curatrici italiane a lavorare in grandi istituzioni di carattere museale al di fuori dall’Italia. Riguardo alla collezione Righi, hai tutte le ragioni di sottolinearne il coraggio, dato che si tratta di un’operazione volta a valorizzare quelle aree dell’arte contemporanea sconosciute ai più – l’est Europa, il Middle East, l’arte italiana dei ’70, ecc».
Come si selezionano i progetti o gli artisti da presentare?
«Naturalmente un complesso programma teorico fa da sfondo alle attività del Centro, rispetto al quale questo primo episodio credo possa dirsi una testimonianza loquace. I progetti sono, in ogni singolo caso, il risultato di precise alchimie che sarebbe difficile riassumere in poche parole».
C’è l’idea di far dialogare il centro FM con le altre istituzione di Milano legate all’arte contemporanea? E in che modo?
«Una delle prime istituzioni che mi vengono in mente, legata alla formazione, è ovviamente la stessa Naba, con la quale intendiamo sviluppare seminari di discussione e approfondimento delle tematiche che ruotano attorno all’ambito dell’exhibition making e del mercato dell’arte. Inoltre, già in questo primo episodio risulta evidente la collaborazione con Miart, con cui abbiamo condiviso la serata inaugurale di entrambi gli eventi. Altre realtà coinvolte sono gli archivi, come abbiamo già dato prova in quest’occasione. Penso all’Archivio Storico Ricordi, che conserva opere degli anni ’60 e ’70 che credo sarebbe giusto rimettere in circolazione, insieme a molti altri archivi di artisti storici di cui è ricca Milano».
L’attività espositiva di FM partirà da subito con tre mostre, una delle quali curata da te, L’Inarchiviabile/The Unarchivable. Italia anni ‘70. Il soggetto scelto sembra spiegare bene tante sfaccettature del centro.
«Abbiamo deciso di inaugurare con la mostra L’Inarchiviabile/The Unarchivable perché ci sembrava importante partire dal contesto italiano (dove ci troviamo a operare). Un decennio che è stato archiviato troppo velocemente e la cui ricchezza creativa è tutta ancora da valutare. Pensando al doppio asse che costituisce la matrice del Centro, e cioè il rapporto tra archivio e collezione, L’Inarchiviabile intende sviluppare una ricerca di scavo su tutte quelle opere che hanno assunto la tassonomia, l’atlante, l’inventario come format per concepire il mondo e come volontà di approssimazione al tutto. Penso alla collezione di immagini di Fabio Mauri ne Il Linguaggio è guerra, all’Atlante di Ghirri, alle classificazioni di Boetti, ai cataloghi di Gianikian e Ricci Lucchi, alla proliferazione Fibonacci in Mario Merz, alle pagine e pagine di scritture di Dadamaino e Irma Blank».
La mostra Corale, invece, è promossa dalle gallerie Monitor, P420 e SpazioA , le prime a occupare all’interno del centro il temporary space pensato per progetti promossi da gallerie di ricerca. Cosa si intende per gallerie di ricerca e quanto sarà la durata della permanenza di questi soggetti all’interno di FM?
«La durata sarà la stessa dell’apertura della mostra al pubblico, terminerà ovvero il 15 giugno. Non è da dimenticare che Corale costituisce l’altra polarità di Imaging a Moving Image, la personale dell’artista croato Marko Tadic, che inaugura contemporaneamente la galleria Laura Bulian, alla sua seconda esposizione presso FM. Queste gallerie, benché affermate, sono giovani, non ancora parte dell’establishment».
Nel centro saranno presenti anche tre archivi, l’Archivio Dadamaino l’Archivio Ugo Mulas e , probabilmente l’Archivio Gianni Colombo. C’è tra i progetti di FM di implementare il numero degli archivi?
«Gli archivi storici d’artista sono un altro elemento fondamentale del centro che intende incrementare la loro presenza sino alla costituzione di un polo di riferimento per la cultura artistica del modernismo milanese ed italiano. Abbiamo in programma anche molti convegni che hanno a che fare con la valorizzazione e la promozione dell’archivio come luogo performativo e non solo di conservazione».
Quando partiranno le residenze d’artista e con che criteri verranno scelti i partecipanti?
«Un primo progetto per residenze d’artista è già stato varato e sviluppato con impegno dall’associazione Fare negli anni precedenti. Si tratta ora di ripensarne il programma in maniera tale da comprendere anche residenze per curatori collegate ad istituzioni museali internazionali con le quali effettuare degli scambi culturali e di ricerca».
Infine, qual è l’aspetto più importante di quest’impresa che vorresti far emergere e trasmettere?
«Mi sembra che tutti gli aspetti sino a ora elencati costituiscano una costellazione già di per sé sufficientemente ampia da non dover aggiungere altro. Si tratta di una vera avventura».
Info: http://fmcca.it